Forza Italia va in bianco. Dopo una giornata di inutile pressing da parte dei pontieri del Pd e degli amici-nemici dell'Ncd nel frattempo convertitisi ancora una volta con una graziosa piroetta al Renzi-pensiero, il partito di Silvio Berlusconi sceglie di non cedere, di restare nell'angolo in cui la trance da uomo-solo-al-comando del premier Matteo Renzi lo ha cacciato. Salvo colpi di scena dell'ultimo minuto, sempre possibili al termine di quella che sarà stata certamente una notte di dubbi e tormenti, stamattina Forza Italia probabilmente non parteciperà al Mattarella Day. Evitando quella plateale uscita dall'aula che avrebbe reso plasticamente la rabbia del partito evitando al contempo sorprese nel chiuso del catafalco («era solo un'ipotesi», dice il capogruppo azzurro al Senato Paolo Romani). Tutti dentro a rispondere alla chiama ma senza matita. «Voteremo bianca per sensibilità istituzionale», soffia verso le 19 l'europarlamentare Giovanni Toti, chiamato a esprimere il pensiero del Cavaliere. L'appello di Renzi a un'ampia convergenza sul nome dell'ex ministro siciliano è «francamente tardivo».
Uno scatto d'orgoglio dopo quella che il partito vive come una coltellata alla spalle. Dopo il «doppio gioco di Renzi, che prima incassa le riforme, Italicum in testa, e poi ci scarica», mastica amaro qualcuno. Forza Italia si sente usata e buttata via: buona per fare le scarpe alla minoranza Pd sull'Italicum. A sua volta resa inservibile dalla rinnovata e chissà quanto duratura compattezza del Pd. Certo, lo scatto d'orgoglio ha il suo prezzo. Perché potrebbe voler dire dar fuoco ai resti del patto del Nazareno, peraltro già stracciato del leader democratico. Perché potrebbe voler dire che il Pd si fa le riforme da solo (anche se Toti non drammatizza: «Lo spirito del Nazareno oggi è più debole, ma il patto è ancora in vita, perché non riguardava il Colle») e dopo tutti al voto. Perché potrebbe voler dire mandare all'aria mesi di opposizione light (per alcuni un po' troppo) allo scopo di non lasciare la sedia al tavolo delle riforme. Perché potrebbe voler dire un nuovo allontanamento dagli alfaniani, acrobati di professione che sembrano essersi di nuovo piegati alle scelte di Renzi per non essere sfrattati dal governo («Mi auguro che Ap non converga sul nome di Sergio Mattarella, poiché mi sembra che le stesse motivazioni che valgono per noi, valgono anche per Area popolare», supplica Toti). Perché potrebbe voler dire un isolamento politico, una traversata del deserto dagli esiti imprevedibili. Magari ne uscirà un centrodestra compatto e più forte. Magari.
Intanto sono ore difficili. Ore decisive. Che scavano più profondamente il fossato tra le due anime del partito, i lealisti e i diversamente berlusconiani capitanati da Raffaele Fitto. L'eurodeputato pugliese lancia un monito contro l'ipotesi dell'Aventino («sarebbe l'ennesimo autogol») e poi riunisce i suoi, una quarantina di grandi elettori, per decidere se mettere il nome di Mattarella su quella scheda. Alla fine la scelta ufficiale è per la bianca, anche se qualcuno del cerchio magico del Cavaliere non si fida e butta là: «Ma come, ci avete accusato di essere supini a Renzi e ora nel segreto dell'urna vi preparate a votare il suo candidato al Colle?». Ma per i fittiani l'incoerenza è altrui.
«È triste dire l'avevamo detto», dice il deputato Nuccio Altieri. Mentre l'altro malpancista Saverio Romano se la prende con i capigruppo: «Brunetta e Romani hanno guidato i gruppi a votare riforme indigeribili per rafforzare il Nazareno: ora che fanno? Dimissioni?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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