Cronache

Francesca e la bambina: "Le ho salvato la vita e non so neanche chi sia"

Era in treno, le hanno telefonato: c'è bisogno del suo midollo. «Ma il dono l'ho ricevuto io»

Francesca e la bambina: "Le ho salvato la vita e non so neanche chi sia"

«Quando mi dicono che sono stata coraggiosa, che sono una guerriera rispondo che non è così perché la forza autentica appartiene ai malati: sono i pazienti i veri guerrieri». Francesca Pirovano ha 23 anni e la grazia della leggerezza quando racconta di aver donato il midollo e così di aver salvato la vita ad una bimba di tre anni come se il suo fosse un gesto semplice, quotidiano come quello di alzarsi dal letto tutte le mattine.

Francesca Pirovano è una studentessa, una ragazza come un milione di altre sue coetanee che un giorno, senza che allora ne fosse consapevole, è inciampata nel destino di una bimba molto malata, probabilmente condannata a morire e che invece ha incrociato la generosità spensierata di Francesca che le ha fatto il dono della vita senza neppure conoscerla.

Un giorno come un altro nel novembre del 2017 Francesca è alla Bicocca, l'Università milanese, per seguire le lezioni di Economia. Vede uno stand con un po' di persone intorno e si avvicina incuriosita. «Chiedo informazioni e così scopro che si tratta dell'Admo, l'Associazione Donatori di Midollo Osseo. Mi hanno spiegato di che cosa si trattava e che la donazione avviene in due modi o con l'espianto o con l'aferesi, un procedimento più lungo ma meno invasivo. Io non ci ho pensato troppo e mi sono iscritta - racconta - Due giorni dopo ho donato il sangue per le analisi. Tra le tante cose che mi dissero mi spiegarono chiaramente che la compatibilità è rara e che dunque avevo una possibilità su centomila di diventare effettivamente un donatore, di trovare una persona compatibile».

Passano giorni e mesi e in un altro giorno qualunque, il 20 maggio di quest'anno Francesca riceve la telefonata che cambierà la sua vita e quella di una piccola bimba sconosciuta ricoverata in ospedale, dove accanto a lei ci sono i suoi genitori che, in ansia, aspettano di sapere qual è il suo destino. Sperano certo. Ma allo stesso tempo temono che quel donatore non si troverà mai. Non sanno che invece il destino ha già messo in moto i suoi ingranaggi, che hanno cominciato a girare su un treno che sta andando da Casatenovo a Milano dove è seduta Francesca.

«Ero in treno, stavo andando all'Università per sostenere un esame, stavo per scendere quando è squillato il cellulare», ricorda Francesca. É il San Raffaele che l'avvisa: è stata trovata un persona con la quale c'è un'alta compatibilità. «Onestamente io mi ero completamente dimenticata di aver dato la mia disponibilità e a quel punto mi sono sentita confusa - racconta - Mi hanno spiegato che dovevano accertare con sicurezza la compatibilità allora io ho chiesto di avere prima un colloquio informativo. Poi sono andata a dare l'esame: ma avevo mille cose che mi frullavano per la testa». Francesca chiede alla madre di accompagnarla al colloquio informativo. I genitori naturalmente sono preoccupati. «Mio fratello Roberto invece mi disse: magari sarà la cosa più bella che farai in tutta la tua vita», ricorda. Il colloquio al San Gerardo di Monza va bene e Francesca decide di andare avanti e di sottoporsi a tutte le analisi necessarie per verificare se davvero è compatibile. Il destino non arresta la sua marcia e il 10 luglio la dottoressa Michela Tassara conferma che sì, la donazione è possibile. «Mi disse che eravamo compatibili, 10 su 10 e che la destinataria era una bambina che ancora non aveva compiuto 3 anni - prosegue Francesca - Altro non posso ne voglio sapere. Non conoscerò mai quella bambina».

La dottoressa spiega nei particolari la procedura a Francesca che sceglierà quella più invasiva ma più breve, da creste iliache. Una cosa in particolare colpisce Francesca. La dottoressa l'avvisa: una volta che è stata riscontrata la piena compatibilità e che il donatore dà il via libera definitivo si comincia a preparare il paziente e se il donatore dopo ci ripensa per il malato è come una condanna a morte. Ma Francesca intende andare avanti. «Il 4 agosto sono stata ricoverata al reparto oncologico del San Raffaele. La notte prima dell'intervento ho dormito bene ero tranquilla. - dice - Ma quando sono entrata in sala operatoria ho sentito tanto freddo, anche le luci erano gelide e sono scoppiata a piangere. Soltanto in quel momento credo ho capito che cosa stavo per fare. Dolore? No, solo tanta stanchezza», dice la studentessa che ora non vuole abbandonare questa strada e intende impegnarsi con l'associazione per trovare nuovi donatori. Come convincere qualcuno a donare? «Quello che ricevi come esperienza è molto più di quello che dai» sorride.

Un solo consiglio: arrivare preparati, farsi spiegare bene la procedura, essere consapevoli quando si offre la propria disponibilità che davvero è una decisione che fa la differenza tra la vita e la morte per chi è in attesa.

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