La fuga dei consensi dalle rivendicazioni woke

La Harris ha centrato la campagna elettorale sui diritti civili e sul riconoscimento delle minoranze. È l'agenda politicamente corretta, in Italia portata avanti dal Pd, a sua volta sconfitto ripetutamente

La fuga dei consensi dalle rivendicazioni woke
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La nuova sinistra è in crisi d'identità. La sconfitta di Kamala Harris, ben diversa da Joe Biden, ne è la conferma. Rispetto all'avversario Donald Trump, la candidata democratica è apparsa debole sul tema fondamentale, l'economia. La Harris ha centrato la campagna elettorale sui diritti civili e sul riconoscimento delle minoranze. È l'agenda politicamente corretta, in Italia portata avanti dal Pd, a sua volta sconfitto ripetutamente dal centrodestra di Giorgia Meloni. Impensabile che la Harris non avesse un team in grado di tirare fuori qualche proposta economica di impatto. Semplicemente, la nuova sinistra si rivolge a un mercato elettorale per il quale, al primo posto, ci sono le rivendicazioni woke. La sinistra si è trasformata in un partito radicale di massa, elitario e nichilista, come aveva previsto, negli anni Settanta, il filosofo Augusto Del Noce. La rivoluzione si è spostata dalle piazze alle camere da letto. Basta osservare il Partito democratico italiano, passato dalla Festa dell'Unità al Gay Pride. Qual è l'immagine simbolo del nuovo corso? Elly Schlein, leader del Pd, mentre balla Maracaibo, insieme con Alessandro Zan, sul carro del Pride. Il socialismo è tramontato non solo per ragioni politiche ma soprattutto economiche. Non sapeva fare di conto e stabilire i giusti prezzi. Non funzionava. Per questo, la sinistra ha rinunciato a porsi fuori dal capitalismo. Nessuno contesta il modello liberista. Spesso è proprio la sinistra, e non la destra, a dare l'impressione di trovarsi bene con squali della finanza e grandi gruppi industriali. Dunque, i diritti. Le battaglie di Kamala Harris, ma potremmo dire di Elly Schlein, sono in difesa di questo o quel gruppo sociale che si sente discriminato e chiede di essere «riconosciuto» ovvero tutelato. Ma i diritti, per la maggior parte della popolazione, laggiù nel mondo reale, non sono un motivo di voto. La massa pensa alle tasse e allo stipendio, alla scuola e alla salute. La gente si sveglia, prende i mezzi pubblici, lavora, va al supermercato, prepara la cena ai figli, si addormenta sul divano. Pensa alle bollette, alle tasse, alle spese necessarie per la famiglia. Quando va alle urne, sceglie chi promette di semplificare la vita e lasciare qualche soldo in più ai cittadini. Questo non significa che la massa sia contraria alle politiche del riconoscimento, tanto meno che sia razzista o omofoba. È che la lotta contro il razzismo e l'omofobia non è un programma di governo ma un obiettivo trasversale, di puro buonsenso. Esiste qualche normodotato favorevole al mito della razza o dedito all'odio verso gli omosessuali? I partiti stessi, almeno quelli liberali, lasciano votare secondo coscienza sui temi etici. Nessuno ne nega l'importanza. Ma dare regole all'immigrazione, proteggere i salari, abbassare le tasse ha un gradito effetto collaterale: la riduzione delle tensioni sociali.

Gli elettori possono avere idee divergenti e (ripeto) trasversali su aborto o utero in affitto. Tuttavia fondare una campagna elettorale su questi problemi, per ora, non ha premiato. Quante minoranze bisogna sommare per avere una maggioranza nelle urne? Troppe.

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