Nel cinquantesimo giorno di guerra, Putin continua a giocare in attacco anche sul fronte politico-energetico. E punta il dito contro i Paesi dell'Ue, rei - a suo dire - di «destabilizzare il mercato dell'energia» e causare «un aumento dei prezzi a discapito dei loro cittadini». Secondo il presidente russo, infatti, i tentativi dell'Occidente di rinunciare alle fonti energetiche di Mosca stanno «influenzando inevitabilmente l'economia globale». Anche se, aggiunge, «al momento è impossibile per l'Europa sostituire il gas russo». E in risposta ai molti Paesi dell'Ue che da settimane si stanno muovendo per diversificare la produzione energetica e liberarsi dal ricatto della Russia, il numero uno del Cremlino fa sapere che costruirà «nuovi oleodotti e gasdotti dai giacimenti della Siberia», così da «reindirizzare l'export dall'Europa verso l'Asia-Pacifico, l'Africa e l'America Latina».
Insomma, anche la guerra del gas è ormai entrata nel vivo. Con Putin che lascia intendere di essere pronto a esportare il suo gas altrove e la Commissione Ue che è invece al lavoro su una bozza per l'embargo del petrolio russo. Un divieto che dovrebbe essere graduale, progettato per dare alla Germania - ma anche all'Italia - il tempo di organizzarsi con fonti di approvvigionamento alternative. Non è un caso che Zelensky insista sulla necessità di agire subito, accusando apertamente Berlino - e la Bulgaria - di «opporsi» a «un embargo sull'energia».
D'altra parte, se è vero che l'Europa dipende dal gas della Russia, è innegabile - lo ha più volte ricordato Draghi - che l'Ue sia anche «il più grosso acquirente del mondo di gas naturale». Una circostanza non certo secondaria. Tanto che nel Consiglio Ue che si è tenuto a Bruxelles a fine marzo, il premier italiano ha usato proprio questo argomento per rilanciare l'idea del price cap, un tetto comune europeo ai prezzi.
A Palazzo Chigi, intanto, si continua a lavorare sulla diversificazione. Così, dopo l'accordo con l'Algeria - dove Draghi dovrebbe tornare il 18 e 19 luglio - sono già in agenda altre quattro partnership con Paesi africani. Con Angola e Congo - dove il premier è atteso il 20 e il 21 aprile - ma anche con il Mozambico - si sta organizzando un viaggio a Maputo per maggio - e l'Egitto. Un'agenda davvero fitta per l'ex Bce che sempre il mese prossimo - l'11 e 12 - dovrebbe essere a Washington per un faccia a faccia con Biden (la sua prima visita alla Casa Bianca da quando è premier).
Proprio sull'accordo con l'Egitto, invece, ieri si è aperto un fronte polemico all'interno del centrosinistra. Le prime critiche sono arrivate da Letta, che ha ricordato l'omicidio Regeni e le responsabilità del regime di Al Sisi. Un caso, dice il segretario del Pd, che «è un simbolo della necessità di difendere i diritti umani e di fare giustizia». Tra i dem, dunque, più d'uno dubita sull'opportunità di un'intesa commerciale con l'Egitto. Anche se, retorica a parte, è evidente che sganciarsi dalla dipendenza russa impone compromessi e - spiegano a Palazzo Chigi - «pragmatismo».
I due piani - gas e Regeni - resteranno infatti distinti perché il governo non intende fare alcuna concessione sulla ricerca degli assassini del giovane ricercatore. Non a caso - a differenza di Algeria, Angola, Congo e Mozambico - Draghi si è ben guardato dal presenziare personalmente alla firma dell'accordo con Il Cairo.
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