Iniziativa anomala di tre deputati che, davanti a una tragedia epocale, invece di una interrogazione parlamentare presentano una denuncia alla procura della Repubblica di Roma perché indaghi sui presunti reati ministeriali. Col risultato che la procura spedisce la denuncia nel registro dove si piazzano gli atti «non costituenti reato». Vuol dire che i magistrati non possono e non vogliono archiviare la denuncia senza approfondire ma che di reati di quelli evocati dai tre firmatari per ora non vedono traccia.
A depositare l'esposto, con comunicato stampa al seguito, erano stati Ilaria Cucchi, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, esponenti di Sinistra Italiana e Verdi. Quando, poche decine di minuti dopo il comunicato stampa, arriva la notizia che la procura della Capitale ha aperto un fascicolo sembra una vittoria dei tre deputati. Ma subito dopo è la stessa Procura a fare sapere che la sua indagine non è sul naufragio e che l'esposto è finito nel cosiddetto «modello 45», quello delle inchieste esplorative e senza reati. Se l'obiettivo era arrivare per via giudiziaria all'affossamento del ministro Matteo Piantedosi (perché è contro di lui, ovviamente, che era puntato l'esposto della Cucchi e degli altri) bisognerà aspettare.
L'inchiesta, quella vera, sulla tragedia di Cutro è in corso seicento chilometri più a sud di Roma, da parte della procura di Crotone. L'indagine è condotta direttamente dal procuratore Giuseppe Capoccia e si muove su due filoni: da una parte la ricostruzione esatta della dinamica della tragedia, dall'altra l'analisi delle linee di comando interne a Frontex e alla Guardia costiera, dei rispettivi compiti rispettivi e delle comunicazioni avvenute nella notte del 26 febbraio. Sul primo versante un passaggio fondamentale è la verifica delle condizioni dei rottami dell'imbarcazione schiantatasi sulle secche, anche per cercare di capire in che stato si trovasse prima del naufragio. Ma ancora più importanti sono le deposizioni dei sopravvissuti, che potranno raccontare come prenotarono il viaggio e quali erano le gerarchie a bordo. Per questo serve un incidente probatorio, un interrogatorio alla presenza dei legali, perché molti sopravvissuti potrebbero poi lasciare l'Italia. Gli interrogatori, fa sapere la Procura di Crotone, potrebbero iniziare la già prossima settimana. Serviranno anche a distinguere (o almeno a provarci) i profughi dagli scafisti. Non sarà facile. Un minorenne che è tra gli arrestati, indicato dagli altri passeggeri come membro della gang, nei suoi interrogatori ha sostenuto di avere pagato il biglietto come tutti gli altri, e di avere solo fatto da interprete, sapendo qualche parola di turco, tra i capi della banda e i passeggeri. «Facevo solo quello che mi dicevano loro», ha spiegato il ragazzo ai pm. Un altro degli arrestati ha anche mostrato la ricevuta del bonifico con cui si sarebbe pagato il biglietto, anche se contro di lui ci sono le testimonianze di più di un profugo.
Poi c'è l'altro versante, quello sulle responsabilità di chi non avrebbe fatto il possibile per evitare lo schianto. «Ce la stiamo mettendo tutta, siamo a buon punto di ricostruzione della rete di comunicazioni che sono avvenute prima dell'evento», spiega ieri il procuratore Capoccia, arrivando al palazzo di giustizia. «Siamo già a un punto di un certo interesse, stiamo raccogliendo tutti gli atti», aggiunge il magistrato. Quando i cronisti gli chiedono «perché l'imbarcazione è stata lasciata sola?», Capoccia si limita a rispondere «bella domanda».
Intanto indagano in proprio anche i legali dei superstiti: «Noi, con le nostre indagini difensive dice l'avvocato Luigi Ligotti - vogliamo capire se ci sono state delle responsabilità da parte dei soccorritori. Perché non sono intervenuti, dove è stato il cortocircuito istituzionale».
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