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Giorgia batte il record di resistenza: tre ore e una raffica di 45 domande

La maratona della presidente del Consiglio: "Ma che siamo, a Telethon?". Tra quesiti strampalati e giornalisti schierati

Giorgia batte il record di resistenza: tre ore e una raffica di 45 domande

Giorgia ha un peso sulla testa. Sarà la stanchezza, forse, e c'è da capirla: prima conferenza stampa di fine anno, 45 domande, tre ore di botta è risposta con i giornalisti, infranti tutti i record di resistenza. «Ma che siamo a Telethon? - sbotta esausta verso le tre - cè una fine a tutto ciò o andiamo avanti finché resta qualcuno? Buon pomeriggio, dite? No, tra un po' buonasera».

E invece no, quello sulla testa della premier è il peso di Mario Draghi, il prestigio internazionale del suo predecessore, che ancora aleggia nelle stanze di Palazzo Chigi e forse le costa, come provocherebbe a chiunque, un piccolo complesso di inferiorità. Magari, chissà, la Meloni si sente come un sostituto di Leo Messi entrato in campo nel secondo tempo al posto del fuoriclasse, sul più bello della partita decisiva.

Lei ride. «È vero, e lo sento chiaramente questo peso... Però mi fa piacere perché misurarmi con persone capaci e autorevoli è stata la sfida di tutta la mia vita». Già, non deve essere facile arrivare dopo Super Mario. «Ma a me non è mai piaciuto vincere facile, come in quella pubblicità. Mi stimolano le personalità di una certa caratura e Draghi lo è a livello nazionale e internazionale». Confronti impietosi. «Mi rendo conto dell'eredità e anche dei paragoni che si possono fare. Lo trovo affascinante».

Sembra un'astronave la nuova aula dei gruppi parlamentari e Giorgia Meloni quasi un ufo appena atterrato, anche se dotato di un buon manuale di sopravvivenza. Stavolta non scappa dalla stampa, come era stata accusata tempo fa, anzi. Domande scomode, domande inginocchiate, domande strampalate. «Il suo tempo è lineare o circolare?», le chiede Alexander Jakhnagiev, direttore dell'Agenzia Vista. La premier ci pensa un po' su, si guarda intorno cercando lumi negli sguardi allibiti dei sottosegretari Mantovano e Fazzolari, poi replica così. «Il mio tempo è.., cadenzato, cioè voglio dire un tempo giusto se accompagnato da risposte. Vorrei che si vedesse che lo usiamo per affrontare, e provare a risolvere, le grandi questioni del Paese, assumendosi la responsabilità delle scelte».

Domande di schieramento, del tipo: la manovra appena approvata è abbastanza di destra? Anche qui Giorgia appare un attimino spiazzata, signora mia che cosa mi chiede. Prova a cavarsela rifugiandosi nel sillogismo. «Tutto quello che ha fatto il governo è di destra, altrimenti mi sarei opposta». Non fa una piega. È una questione di logica, no?

Domande temute, come quella della corrispondente della Tass, e che al dunque si rivela una pistola ad acqua. Il popolo russo e quello italiano potranno continuare ad essere amici? Ma certo, sostiene la Meloni, perché gli atti e le colpe dei governi non possono ricadere sui popoli. E veri battibecchi, come quello che si accende quasi alla fine tra la premier e Claudia Fusani del Riformista. Oggetto del contendere i rave party. C'era davvero bisogno di un decreto per tre raduni l'anno? E che fine ha fatto la centralità del Parlamento? «Ma quando mai - si inalbera la premier - una maggioranza rinuncia a far convertire un suo decreto per ridare la centralità alle Camere?». Però in quel testo ci sono altre norme incoerenti, insiste la giornalista. Meloni alza la voce. «Per me non è secondario il segnale che vogliamo dare. Da tempo arriva gente da tutta Europa per organizzare incontri illegali con droga, violenze, devastazioni perché si divertono. Perché vengono a divertirsi da noi e non in Francia, Germania o Spagna? Insomma, è finita l'Italia che si accanisce con chi rispetta le regole e fa finta di non vedere chi le viola». Chiusura mitica. «Dicono: ma noi vogliamo solo cuocere gli arrosticini! E sapete quante norme deve rispettare chi vuole vendere gli arrosticini su suolo pubblico? Di che stiamo parlando?».

MSc

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