La Tav, il Tap e la pedemontana messi in dubbio dalla quota pentastellata del governo giallo verde hanno monopolizzato il dibattito. Ma è una vera giungla nascosta quella delle opere sognate, progettate e mai concluse per colpa dello Stato: errori nella valutazione costi benefici, lacune progettuali, mancanza di linee guida all'interno dei ministeri competenti. È una fotografia sconfortante e contenente «molte criticità» quella scattata dal dossier dell'Ufficio valutazione impatto del Senato sui «Grandi Progetti», cioè le infrastrutture regionali finanziate dall'Unione europea. Lo studio prende in considerazione quelle presentate per il periodo 2007-2013. Ebbene, ne emerge che secondo i tecnici della Commissione europea, il 90% dei progetti inviati dal nostro Paese per ottenere finanziamenti Ue aveva un'insufficiente analisi costi-benefici, il 70% aveva problemi sulla valutazione del mercato interno o nell'impianto progettuale, il 50% lacune nella valutazione ambientale.
Nel dettaglio su 58 grandi progetti notificati a Bruxelles, quasi nove su dieci hanno presentato problemi: 47 hanno gravi lacune sull'Analisi Costi Benefici, 36 presentano criticità nell'impianto progettuale, 35 problemi relativi al mercato interno. Non solo. In un caso su due le istruttorie hanno lacune nelle valutazioni ambientali. Motivo per cui se non vengono sanate, i fondi comunitari poi vengono persi. Le ragioni stanno nella «difficoltà - scrivono gli analisti del Senato - da parte delle amministrazioni promotrici, ad avviare e a concludere in tempi brevi l'iter istruttorio necessario per ottenere la decisione della commissione sull'ammissibilità al contributo finanziario».
Di chi è la colpa? A leggere il dossier sembrerebbe che nei ministeri non ci siano le competenze sufficienti per mettere a punto la documentazione e le linee guida necessarie per una pianificazione efficiente: «Sono le amministrazioni centrali dello Stato che appaltano, dirigono e gestiscono le opere di maggiori dimensioni e che sono quelle che oggi presentano più problemi sui tempi e costi di realizzazione». Per questo un decreto del 2012 aveva previsto che per non disperdere risorse ciascun ministero dovesse dotarsi di un Documento pluriennale di pianificazione (Dpp) che dovesse includere e rendere «coerenti tutti i piani e i programmi per opere pubbliche». Invece dalle verifiche che sono state fatte, il personale dei ministeri «non sembra disporre delle competenze necessarie» per questi adempimenti.
Così sono finiti su un binario morto tra gli altri il progetto per il potenziamento ferroviario della Roma-Viterbo, l'estensione della linea ferroviaria di Sassari, il potenziamento della linea Catania-Palermo, della Napoli-Bari, il collegamento ferroviario per l'aeroporto di Lamezia Terme, diverse tangenziali interne in Campania, il potenziamento della banda larga in Sicilia, quello della rete stradale tra Agrigento e Caltanissetta. Un esempio di quella «rete di piccole opere utili di cui dotare il Paese» proposta dal M5s in contrasto con la Tav.
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