Sarà mica per caso che abbiamo come premier un avvocato esperto in arbitrati. Appena fatto il governo Conte, si passerà a fare un bel po' di «conticini». È la maxi-partita delle nomine, nel governo e fuori, che darà spessore all'operazione legastellata (o pentaleghista che dir si voglia). Una mappa del potere che si va a ridistribuire e ridisegnare completamente: in Parlamento, con i presidenti di commissione (e i capigruppo M5s e Lega da sostituire); nel governo con viceministri e sottosegretari; in Rai con il nuovo assetto derivante dalla riforma Renzi (quando si dice la sfortuna); nelle Partecipate, a cominciare con la Cassa Depositi e Prestiti, per rimpiazzare vertici in scadenza (per quello che ha potuto si è affannato Gentiloni in extremis) o eventuali sostituzioni in corsa.
I numeri, per la squadra ministeriale, dovrebbero esser stati già decisi: si parla di 20 sottosegretari e 5 viceministri grillini da controbilanciare con 15 e 3 equivalenti salviniani. Totale 43, anche se resta possibile che i sottosegretari possano aumentare un po', fino a un massimo di 50. Partendo dalle caselle più vicine alla stanza dei bottoni, a Palazzo Chigi come segretario generale dovrebbe tornare in auge Vincenzo Fortunato, che lavorò con Tremonti. I 5s poi rivendicano con forza le deleghe ai Servizi che finora si pensava potessero essere mantenute dal sottosegretario alla Presidenza, il leghista Giorgetti. Sarebbero invece ormai nelle mani di Vito Crimi, già componente Copasir. Qualche altra ambascia la vive Salvini all'Interno, perché se dovesse portare con sé Gianni Tonelli, finirà per rinunciare a un altro fedelissimo, Stefano Candiani, dirottato al gruppo per sostituire Centinaio. Fabiana Dadone, invece, è una papabile per il Viminale espressa dai 5s. Braccio di ferro all'Economia, dove dovrebbe restare in sella il dg di Padoan, Roberto Garofoli, per i «vice» e i sottosegretari del ministro Tria. Il grillino Stefano Buffagni sembra favorito rispetto a Laura Castelli, mentre per i leghisti si fa il nome di Alberto Bagnai. Altissime le quotazioni del brillante Armando Siri, «mente» della Flat tax e delicato anello di congiunzione con Forza Italia. Anche Michele Geraci, che ha lavorato al programma, dovrebbe entrare in via XX settembre. Allo Sviluppo-Lavoro di Di Maio, snodo cruciale delle politiche di rilancio del governo, favoritissimo il già ministro-elettorale pentastellato, Lorenzo Fioramonti. Ma si parla anche di Vincenzo Spadafora, in qualità di superfedele braccio destro di Di Maio. Se Buffagni, non la spuntasse al Mef, sarebbe dirottato in via Flavia, visto che lì le poltrone sono due: troppe e troppo pesanti per l'inesperto capo dei 5s. Per la Giustizia (o un ministero economico) si fa strada in quota grillina il nome del senatore Elio Lannutti, sempiterno patròn dei consumatori, così come alla Cultura Primo Di Nicola potrebbe sbaragliare la concorrenza di Michela Montevecchi, nonostante sia di prima nomina. Anche Marta Grande e Andrea Cioffi sono in pole position per Istruzione e Infrastrutture, così come Manlio Di Stefano per gli Esteri.
Luca Frusone e Gianluca Vacca aspirano, rispettivamente, a Difesa e Istruzione. In casa Lega, posti «certi» quelli di Edoardo Rixi e Nicola Molteni (Mise), Guido Bonomelli (Trasporti), Lucia Bergonzoni (Ambiente), Angela Colmellere (Comunicazioni) e Barbara Saltamartini (Sanità).
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