"Guerra", "crimini". Il glossario classico diventa superato dopo la pace di Gaza

Così i termini tradizionali come "tregua" e "genocidio" risultano ormai impropri

"Guerra", "crimini". Il glossario classico diventa superato dopo la pace di Gaza

La pace sulle parole attenderà ancora a lungo. "Non si ha più il senso delle parole che si usano" ha detto Giorgia Meloni dopo la denuncia per concorso in genocidio fatta da oltre cinquanta tra avvocati, attori, docenti universitari e politici. Anche nei talkshow e nei cortei, su Gaza e dintorni, volano espressioni altisonanti un po' a caso. Qui di seguito un glossario che più minimo non si può.

PACE

Quella tra Israele e Hamas non è propriamente una pace, perché la pace fa seguito a un trattato di pace tra nazioni, non tra una nazione e un gruppo terrorista. Quella tra Israele e Gaza, sul piano politico, è un'intesa tra una democrazia e un regime fondamentalista, sul piano giuridico invece è un'intesa tra uno Stato sovrano e un'organizzazione terrorista, mentre sul piano morale è un compromesso tra chi deve difendersi e chi vive della guerra. Su un piano paradossale, ancora, è un accordo tra un potenziale criminale internazionale e un gruppo terrorista. Ricordiamo che a suggellare la teorica pace, a Sharm el-Sheikh, non c'erano né Benjamin Netanyahu né un rappresentante di Hamas.

ARMISTIZIO

Non fa al caso nostro perché è un accordo formale tra parti belligeranti per sospendere le ostilità in vista di un trattato di pace, ma, come spiegato, un vero trattato di pace non può esserci.

TREGUA

Può essere una pausa tattica o umanitaria, ma in questo caso la definizione di "tregua negoziata" (con scambio di ostaggi e prigionieri) appare come la più realistica per sancire quanto stabilito nello scorso weekend a Sharm el-Sheikh da una serie di nazioni mediatrici

GUERRA/1

Quella tra Israele e Hamas non è stata propriamente (non è) una guerra tradizionale e cioè tra Stati, bensì un conflitto tra uno Stato democratico e un gruppo armato "non statale", quindi una guerra irregolare o asimmetrica: questo nel linguaggio delle convenzioni internazionali. Nei documenti ufficiali, non esistendo rapporti diplomatici né status di belligeranza paritari tra i due contendenti, si parla di "operazioni militari" o "conflitto armato" evitando la parola guerra.

GUERRA/2

Termine la cui soppressione, per molto tempo, è restata una formidabile vittoria della sinistra italiana dei tardi anni Novanta: di volta in volta è divenuta missione di pace, intervento umanitario e operazione di polizia internazionale.

Le discussioni su una cosiddetta resistenza irachena o palestinese o d'altra provenienza (chiamata ufficialmente terrorismo in quasi tutto l'Occidente) ne sono state la mera conseguenza. Non è mancata, in tempi più recenti, una visione terzomondista o post-coloniale secondo la quale il "nemico" non esiste più perché ogni nemico è una creazione di precedenti sortite occidentali. La guerra a Gaza e quella in Ucraina stanno rivalutando le definizioni di una volta.

CRIMINE DI GUERRA

Si parla di crimine di guerra, secondo il diritto internazionale, quando una delle parti in conflitto compie operazioni belliche che in qualsiasi modo (in qualsiasi modo) mettano a rischio la vita dei civili nonché l'esistenza di infrastrutture come abitazioni, scuole, ospedali, mercati e luoghi di culto. Ne consegue che la semplice esistenza di un bombardamento aereo (anche il più mirato) implica che sotto le bombe ci siano categorie indesiderate o anche desiderate, come nel caso degli ordigni nucleari di Hiroshima e Nagasaki, e i bombardamenti di Pearl Harbor, di Port Darwin e le devastazioni di civili nelle città tedesche di Dresda e Norimberga, ciò che farebbe dei presidenti anglosassoni Churchill, Roosevelt e Truman dei criminali di guerra. Poiché le tecniche di bombardamento sono cambiate ma non possono esserlo più di tanto (e tantomeno i cosiddetti effetti collaterali) ne consegue che il diritto internazionale rende la guerra, in quanto tale, un crimine di guerra.

GENOCIDIO

Mollare su questa espressione equivarrebbe a riscrivere i vocabolari o a far presiedere l'Accademia della Crusca a Rula Jebreal. Il genocidio, nel diritto, è l'intenzione di cancellare un gruppo "in tutto o in parte", ma quell'"in parte", introdotto dall'Onu nel 1948, è bastato a rendere il concetto una gomma elastica. Basta ammazzare abbastanza civili e qualcuno dirà genocidio. Raphael Lemkin (polacco) inventò l'espressione "genocidio" nel 1944 (definì un reato) ma nel caso di Gaza ne mancano gli elementi costitutivi: Israele non mira a cancellare i palestinesi dalla faccia della Terra, ma a distruggere Hamas e chi, secondo la sua logica militare, ne fa parte o ne consente l'esistenza. È una strategia spietata, può fare orrore, ma non è una dottrina di sterminio. Se lo fosse, i due milioni di palestinesi che vivono dentro Israele sarebbero già stati annientati. Il genocidio, nella Convenzione del 1948, presuppone un intento diretto di eliminazione: non basta un numero altissimo di vittime civili, né la sproporzione dei mezzi, né la devastazione sistematica di infrastrutture.

Sarebbe genocidio se la morte dei civili non fosse un effetto collaterale, ma uno scopo. L'espressione "massacro" evidentemente non è ritenuta sufficiente e si cerca di dare un'improbabile forma giuridica all'indignazione.

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