Guerra finita ma la pace è altro

Per la pace più che la vittoria è essenziale la sconfitta, affinché tutti accettino la narrazione unica del vincitore come base comune da cui ripartire

Guerra finita ma la pace è altro
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La stampa mainstream declassa questi accordi perché non li sopporta. Avrebbe voluto che Israele ne uscisse bacchettata per la strage; che a procurarli non fosse Trump, lo "sceriffo di Washington" come lo sbeffeggiano offendendo il popolo americano che adora gli sceriffi; che riconoscessero di più se non a Hamas, ma qualcuno e qualcuna pure a quei criminali, almeno ai palestinesi, di cui invece non importa a nessuno, men che meno agli arabi che li hanno sempre e solo usati come carne da cannone. Soprattutto non sopportano che a mettere tutti d'accordo sia stato il denaro, la convenienza economica, dalla ricostruzione ai due giacimenti di gas davanti a Gaza fino agli Accordi di Abramo, che i mandanti di Hamas hanno sabotato e che invece si sono rivelati resistenti, più della fede e delle ideologie. Scrivono con orrore che il capitalismo ha vinto sui diritti delle genti. Non accettano, a 36 anni dal crollo del Muro, che il diritto delle genti sia quel benessere di cui essi già godono, che il popolo non esista per sostenere le ideologie dei benpensanti ma per migliorare la vita propria e dei loro figli, che a dirla tutta "il popolo" manco esista e ad esistere siano piuttosto le persone, portatrici di individualità e diritto a una vita libera.

Però, pure al netto di questi detrattori a cui hanno rotto il giocattolo delle piazze, è difficile trovarci qualcosa di storico. Abbiamo assistito ad altri accordi, da Oslo a Washington e a Camp David, e dove c'hanno portato? Al 7 ottobre e relativa Gaza.

Questa sarà al massimo la fine della guerra. Che non è poco, certo, anzi nel breve è tantissimo se non tutto. I palestinesi, uniche vittime, smetteranno di venire uccisi. Le coscienze occidentali, che non tollerano un simile eccidio trasmesso in diretta, possono rifiatare e smettere di manifestare. Sì, ci sarebbero altri conflitti, tipo la guerra dimenticata in Sudan, ma quella non la danno in TV e quindi niente, le barche restano in porto fino all'estate prossima. Tornando a Gaza, ci piace cullare l'idea confortevole che quelle vittime siano le ultime. Speriamo, ma è possibile che non sia così. La guerra sarà pure finita, ma la pace è un'altra cosa: è la sconfitta totale del perdente. Che non per forza è il cattivo, ma solo il più debole o appena meno forte, visto che la storia umana non si snoda dentro una cornice di diritto: le ragioni se le scrivono i vincitori, dopo e da soli.

Per la pace più che la vittoria è essenziale la sconfitta, affinché tutti accettino la narrazione unica del vincitore come base comune da cui ripartire. Cosa ne sarebbe stato di noi italiani come popolo, se la storia del Risorgimento fosse stata scritta e insegnata per ciò che davvero è stata? Può non piacere, ma è su quelle menzogne che abbiamo costruito il Paese. La verità avrebbe consentito lo stesso?

È questo a dare senso alla provocazione della destra israeliana agli americani: avreste fatto la pace con Hitler? La pace chissà. Ma la guerra no, non l'avrebbero fatta, non senza l'attacco a Pearl Harbor. Trova le differenze: è lo stesso opportunismo che oggi dà spazio alle reciproche convenienze economiche degli arabi, degli americani e magari anche nostre, se riusciremo a sederci a tavola. Ma senza estirpare quel male, che oggi ha il volto di Hamas ma in passato quello di OLP e Fatah, istigato da Stati arabi e non arabi a loro volta fomentati da potenze smaniose di avere un posto in Medio Oriente, la brace sotto la cenere resterà accesa ed è solo questione di tempo prima che torni a incendiare la regione.

Ma la politica in fondo è l'arte del possibile. E questo è appunto il massimo possibile oggi e ce lo facciamo bastare, fingendo che sia ciò che desideriamo tutti, invece di vederlo per ciò che è: una pausa fino alla prossima guerra.

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