Sei mesi di governo. Circa 180 giorni trascorsi dal mandato di fiducia consegnato dagli elettori alla premier Giorgia Meloni, alla prova delle promesse elettorali e soprattutto di Bruxelles e delle cancellerie internazionali. Immigrazione, Pnrr, conti pubblici. Stretta tra le aspettative dell'elettorato e una maggioranza da tenere compatta sui fronti più caldi. «Tutto è migliorabile ma sono stati sei mesi di lavoro, di passione, di difficoltà ma di grandi soddisfazioni. Stiamo sbloccando centinaia di opere che erano ferme da tanti anni, stiamo recuperando i ritardi per le opere del Pnrr», rivendica il vicepremier Matteo Salvini.
La prima urgenza è stata l'immigrazione, che all'esordio di Meloni sulla scena internazionale aveva innescato tensioni con la Francia. Il governo si è trovato a misurarsi con numeri e flussi che stanno saturando il sistema di accoglienza italiano: 35mila persone arrivate da gennaio a oggi. Da qui la scelta di dichiarare lo stato di emergenza per sei mesi e di nominare un commissario chiamato a gestire la crisi sui territori e a potenziare le strutture. Su tutti i territori tranne che nelle quattro Regioni a guida Pd che hanno rifiutato il commissariamento. Sullo sfondo la profonda crisi economica tunisina, Paese sull'orlo del default e principale hub delle partenze verso la Sicilia. Si confidava sul tentativo di mediazione dell'Italia per sbloccare il prestito da 1,9 miliardi del Fondo monetario internazionale che ha condizionato l'erogazione all'attuazione di un piano di riforme da parte dello Stato nordafricano. La speranza di sbloccare l'impasse si è infranta pochi giorni fa nelle parole di chiusura del presidente Kais Saied: «Per quanto riguarda l'Fmi, i diktat dall'estero che portano solo a un ulteriore impoverimento sono inaccettabili, l'alternativa è contare su noi stessi, siamo un Paese sovrano». Significa però che i flussi dalla Tunisia non diminuiranno, anzi. Mentre a Bruxelles, dove la riforma europea del Patto di asilo resta ferma al palo sotto i veti incrociati degli altri Stati membri. Ma sul piano internazionale va gestita anche l'altra sfida prioritaria e all'alto peso politico in vista delle elezioni europee del prossimo anno. Il Pnrr, e le modifiche necessarie che Palazzo Chigi chiede di poter fare per non sprecare i 191 miliardi di euro del piano italiano. Un fallimento viene considerato un rischio da disinnescare, e dunque è scattata la corsa contro il tempo per definire i progetti effettivamente realizzabili entro il 2026. Meloni però di fronte agli attacchi sui ritardi ha precisato: «Lo abbiamo ereditato dai precedenti governi e il tentativo di mettere sulle spalle del mio esecutivo il peso di scelte sbagliate e ritardi ha il flato corto. C'è bisogno di una correzione di rotta: servono determinazione e calma, velocità e ponderazione. L'abbiamo ereditato, ci impegneremo al massimo per gli italiani». E poi ci sono i conti pubblici, fotografati nel documento di economia e finanza messo nero su bianco dal ministro Giorgetti all'insegna della «prudenza», ma contenente uno stato di salute dell'economia migliore delle precedenti previsioni. Crescita allo 0,9% dallo 0,6% indicato nella scorsa legge di bilancio. Con ulteriori spazi di manovra a sostegno, ha annunciato il ministro, delle fasce più deboli. Tre miliardi sono stati destinati a un nuovo taglio del cuneo fiscale per i lavoratori con redditi medio bassi. La premier Meloni ha indicato come «priorità» nuove misure a sostegno della natalità e della genitorialità.
«Il bilancio sul governo è positivo, lo dimostrano i mercati, lo spread, l'opinione pubblica; le previsioni di crescita, anche grazie al lavoro dell'esecutivo, sono superiori a quelle rispetto a qualche mese fa e sale anche
l'occupazione; siamo soddisfatti», dice il vicepremier Antonio Tajani. «Ora vogliamo fare di più, ecco perché dedicheremo la giornata dell'1 maggio al consiglio dei ministri, per migliorare le condizioni economiche del nostro Paese».
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