Haitam e Bea, quando la morte è bambina

Lui (13 anni) soffocato nel rogo di Quarto Oggiaro. Lei (8) era la «bimba di pietra»

Andrea Cuomo

Se è vero che, come disse il papa qualche anno fa, «la morte di un figlio è un buco nero che inghiotte il tempo», ieri è stato un giorno-gruviera, in cui il tempo è stato divorato. Perché in poche ore di bambini ne sono morti due, di età diverse e con diverse storie, ma con la stessa innocenza di chi non ha avuto il tempo di essere niente di differente.

I due bambini morti sono Haitam, il tredicenne soffocato nell'incendio dell'appartamento di via Cogne, a Quarto Oggiaro, periferia Nord-Ovest di Milano. E l'altra è Beatrice detta «Bea», otto anni, detta la «bambina di pietra» per l'assurda malattia che l'aveva colpita appena nata.

Una piccola spoon river di dolori, un misto di fatalismo e colpe. E di colpe sembrano essercene più d'una nella serie di eventi che hanno portato alla morte di Haitam alle 10,04 di ieri, dopo ore di agonia che il fato non gli ha voluto risparmiare. Così uno dei due reati per cui è stato aperto un fascicolo di indagine è diventato omicidio colposo (l'altro è incendio colposo). Gli indagati sono i titolari dell'appartamento da cui si sono sviluppate le fiamme, al decimo piano, mentre la famiglia di Haitam, di origini marocchine, abita all'undicesimo. Il sospetto è che le fiamme possano essersi sprigionate per un guasto della caldaia dell'appartamento del decimo piano. Gli inquirenti indagheranno come atto dovuto anche gli affittuari dell'appartamento del decimo piano, per consentire i rilievi necessari. Il magistrato ha disposto il sequestro dei due piani del palazzo e l'autopsia sul corpo della vittima.

Haitam, che aveva disturbi della personalità e che per questo era seguito dai servizi sociali, non sapendo che fare ha provato a difendersi dalle fiamme e dal fumo rannicchiandosi nella vasca da bagno. Il ragazzo viveva con la mamma e con due sorelle ma era solo in casa al momento in cui si sono sviluppate le fiamme, perché la donna era al lavoro e le ragazze a scuola. Lui invece era a casa perché in attesa dell'iscrizione a un istituto protetto. In quei concitati momenti ha telefonato alla mamma per chiedere aiuto. «Vedo solo fumo», ha detto alla donna, e poi un grido disperato: «Aiuto, ho paura...». Poi la conversazione si è interrotta. Quando è stato soccorso il suo cuore era fermo. È stato rianimato ma il suo corpo si è arreso dopo poche ore.

È stata una battaglia molto più lunga quella di Bea. Lei aveva un nome, Beatrice, la malattia da cui era stata colpita no. E infatti la chiamavano la «bambina di pietra», lo facevano i giornalisti in cerca di slogan, non i genitori, che trovavano orribile quella semplificazione che sembravano scolpire un piccolo corpo e una piccola anima in un destino senza vita. Alessandro Naso, il papà, non ha quasi più lacrime dopo che sei mesi fa se n'era andata la mamma Stefania Fiorentino, a sua volta ammalata di tumore.

Beatrice, che era di Torino e ha trascorso i suoi ultimi giorni al Regina Margherita, era diventata la mascotte della cantante Emma, che aveva voluto conoscerla e ne seguiva la malattia. Bea aveva tutte le articolazioni irrigidite. Specialisti di tutto il mondo avevano studiato il suo caso senza cavare un ragno dal buco.

Il suo corpo era un'armatura, la sua vitalità era racchiusa in due occhi vivaci che amavano riempirsi di cartoni animati. «Saperle insieme sarà la nostra forza», ha scritto su facebook Sara, sorella di Stefania e zia di Bea.

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