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I collegi sono pronti ma i giallorossi no: la corsa al non-voto

Dopo l'ok di Mattarella, tutto predisposto in caso di urne. Ma loro fanno resistenza

I collegi sono pronti ma i giallorossi no: la corsa al non-voto

U na fetta di panettone al popolo italiano non si può negare. Ed ecco il finto regalo della riforma dei collegi elettorali, firmata dal presidente Mattarella e pronta ad essere impressa sulla Gazzetta Ufficiale. Da domani mattina, in teoria, gli italiani potrebbero essere convocati per nuove elezioni politiche dopo un ipotetico scioglimento del Parlamento.

La maggioranza giallorossa ha più che altro l'intenzione di lavarsi la coscienza per non ritrovarsi accusata, in caso di furori popolari, di aver impedito la via di uscita del voto anticipato. Se non ci fossero fortissimi interessi convergenti nel portare a compimento questa strana legislatura a due matrici (prima M5s-Lega, poi M5s-Pd-Iv-Leu), tutto all'apparenza sarebbe pronto per ridare voce ai cittadini in cabina elettorale.

Il ridisegno dei collegi si è reso necessario per applicare il taglio di 345 parlamentari disposto dal referendum costituzionale dello scorso settembre. Eppure c'è già la prima piccola trappola. Qualora si procedesse a una nuova riforma elettorale, bisognerebbe ritoccare i confini geografici delle stesse circoscrizioni. Il principio della tela di Penelope applicata al bieco catenaccio di Palazzo per fare passare strane idee a chi vorrebbe staccare la spina.

A Palazzo Chigi e dintorni non si trovano kamikaze. Tengono tutti famiglia e studio imbandierato: a nessuno passa per la testa di chiudere anzitempo un'esperienza che per molti improvvisati si annuncia irripetibile. Lo stesso Quirinale ha le mani più libere nel pungolare Conte a fare di più per superare la crisi socio-economica legata al voto. Ma ai piani alti della politica si pensa alle elezioni del nuovo capo dello Stato prevista nel 2022. I sondaggi parlano chiaro: in caso di urne il Parlamento andrebbe in maggioranza al centrodestra con la logica conseguenza di avere un capo di Stato non più espressione della sola sinistra. E a questo punto i vari Prodi, Gentiloni e Franceschini dovrebbero fare i conti con la rosa istituzionale del centrodestra che prevede Berlusconi seguito da Casellati, Letta e Tajani. Ma anche senza focalizzarsi sul Quirinale, il partito del non voto si alimenta di numerosi altri interessi particolari.

I Cinque Stelle, sempre più cadenti e meno rampanti, non vincono elezioni dal lontano 2018. Dopo l'exploit come primo partito italiani sono incappati in una serie nera che li ha retrocessi in serie B. Sicuri poi che il Pd, al potere in modo inaspettato dopo l'azzardo estivo del 2019, si dica pronto a sottomettersi al giudizio popolare? È un partito sempre forte ma che ha perso parecchi colpi, sia sotto il profilo della guida (Zingaretti è tutto fuorché carismatico) che in varie elezioni amministrative.

Per non parlare poi di Italia Viva che in Parlamento spadroneggia con gli eletti renziani staccatisi dal Pd. Forti a Palazzo, poco visibili sul territorio e dati spacciati nei sondaggi con qualsiasi sistema elettorale. Si rivelerà fondamentale, soprattutto nei momenti di crisi dell'esecutivo, il lavoro più o meno sotterraneo dei 345 parlamentari in esubero dopo la riforma voluta fortemente dai grillini. Questi non hanno volto, ma ogni singolo rappresentante del popolo sa che le fortune politiche sono fragilissime: in cuor suo, big esclusi, ognuno si sente con una spada di Damocle sul capo.

La miglior assicurazione sulla vita di una legislatura che sembra resistere a epidemie e malanni di ogni tipo.

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