Il Cnel boccia il salario minimo. Ma serve un piano per risolvere il problema lavoro

I contratti collettivi coprono quasi il 100% dei dipendenti. Si va verso un documento che sarà approvato in ottobre

Il Cnel boccia il salario minimo. Ma serve un piano per risolvere il problema lavoro
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Guardare oltre il nodo salario minimo, se si vuole superare la povertà lavorativa. Come a dire che le soluzioni sono altrove, non nell'introduzione della paga per legge a 9 euro l'ora - come chiedono le opposizioni. Sulla contrattazione collettiva c'è però «l'urgenza e l'utilità di un piano di azione nazionale». Il Cnel aveva già fatto filtrare delle perplessità sul compenso minimo orario e ieri è arrivato un primo parere tecnico sul dossier, chiesto dalla stessa premier Giorgia Meloni dopo il vertice estivo con le forze di minoranza, che premono con una proposta di legge unitaria in Parlamento.

Quello approvato ieri dalla Commissione dell'informazione del Cnel, con il voto contrario della Cgil e l'astensione della Uil, è il risultato di una prima fase istruttoria tecnica. E parte da una verifica sul rispetto in Italia della direttiva Ue che sollecita l'introduzione della paga oraria minima a certe condizioni. Il Cnel rileva che nel nostro Paese il tasso di copertura della contrattazione collettiva «si avvicina al 100%, di gran lunga superiore all'80%» che viene fissato come parametro della direttiva. E invita a una riflessione che vada «oltre la questione salario» perché la povertà lavorativa si intreccia con le criticità dei tempi di lavoro dilatati, con la composizione familiare e con l'«azione redistributiva dello Stato».

Il documento ricorda che direttiva Ue non impone la soglia minima che chiedono le opposizioni, e che «là dove esiste un robusto ed esteso sistema di contrattazione collettiva non richiede ulteriori verifiche o adempimenti». E se la direttiva non li richiede significa, rileva il Cnel, che il «trattamento retributivo previsto da un contratto collettivo qualificato (cioè sottoscritto da soggetti realmente rappresentativi) sia adeguato». Ci sono però i ritardi oggettivi dei rinnovi contrattuali, una «criticità» che l'organismo sgancia dal tema del salario minimo: «Non sempre ritardo è sinonimo di non adeguatezza del salario o di assenza di meccanismi di adeguamento all'andamento della inflazione che, in effetti, sono presenti in numerosi contratti collettivi nazionali di lavoro».

Bisogna però valutare anche l'«adeguatezza» dei trattamenti retributivi stabiliti dagli stessi contratti. I dati Istat indicherebbero in 7,5 euro il 50% del salario mediano e in 6,85 euro il 60% del salario mediano, i due parametri indicati dalla stessa Ue per fissare l'eventuale salario minimo. Ma si tratta di dati del 2019 che andrebbero «parametrati sui trattamenti retributivi dei soli lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato», con una stima che alzerebbe le soglie.

C'è comunque la necessità di un piano d'azione, «in materia di salari adeguati, a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva in termini di adeguamento strutturale del mercato del lavoro alle trasformazioni della domanda e della offerta». Non si può però slegare la questione salariale da quella della produttività, e serve una «risposta sinergica, condotta da attori qualificati e realmente rappresentativi degli interessi del mondo del lavoro». La priorità è intervenire invece sui contratti pirata.

Per i sindacati serve una legge che limiti le organizzazioni non rappresentative, dove si annidano le zone grigie. Domani verrà messo nero su bianco documento di proposte e il tutto verrà discusso nell'assemblea del Consiglio, presieduto da Brunetta, il 12 ottobre.

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