Il Natale l'hanno fatto fuori casa a centinaia, sgomberati dai sindaci, tra Lugo e Villanuova, nella parte di Romagna dove ormai l'alluvione è un incubo. Un incubo che per la Procura di Ravenna non è figlio solo del clima ma di colpe precise, tradotte alla vigilia delle Feste in dodici avvisi di garanzia per i disastri del 2023 e 2024. Lo scossone politico non c'è stato, anche perché la responsabilità per i pm è tutta dei funzionari accusati di disastro colposo. Non c'è nessun indagato tra i politici che fin dal 2013 avevano sul tavolo report drammatici sullo stato del territorio.
Ma i vertici politici difendono gli indagati, perché in quell'ecosistema dove ha radici il potere rosso in Emilia Romagna Partito democratico e burocrazia si sostengono a vicenda. Così l'indagine della Procura di Ravenna nelle alluvioni che hanno devastato a ripetizione uno dei territori più ricchi d'Italia resta lì, sospesa a mezz'aria, come se riguardasse solo qualche capo ufficio. Eppure tutti sanno che da sempre i percorsi nella burocrazia pubblica tra il Po e l'Appennino sono guidati anche dalla fedeltà politica. "Una volta - brontola un attento osservatore delle cose locali - alla tessera di partito si accompagnava la competenza. Adesso l'osservanza è rimasta, ma la competenza non c'è più. Ecco le conseguenze".
Della contiguità tra burocrazia e militanza politica è buona testimone la presenza nell'elenco degli indagati di Mauro Vanoni: che fino al 2019 era direttore del Genio Civile ma è anche è stato sindaco di centrosinistra di Santarcangelo di Romagna, e nel 2009 a mandato scaduto è tornato a tempo pieno ad un ruolo chiave nella gestione del territorio. Con lui, sotto inchiesta dai pm, altri otto big degli uffici regionali, ognuno incaricato di vigilare su argini di cui da tempo si segnalava la fragilità. Risultato: per due volte, nel maggio 2023, il fiume Lamone esonda tra Boncellino e Traversara, nella campagna a ovest del capoluogo, partono i lavori di ripristino fatti così bene che un anno dopo la nuova piena del fiume li travolge di nuovo, ed arriva il disastro annunciato le cui immagini fanno ammutolire l'Italia. Su come vennero eseguiti i lavori si è concentrata la consulenza che il Politecnico di Milano ha consegnato alla Procura di Ravenna, e che è un monumento all'incapacità e agli errori.
Michele de Pascale, presidente della Regione ha preso subito le difese degli indagati (d'altronde lui stesso li ha promossi al commissariato straordinario per l'assetto del territorio) richiamando alla presunzione di innocenza e ricordando che si tratta di "professionisti di altissimo livello". Le indagini della Procura raccontano un'altra storia, "Non cercavamo un capro espiatorio - dice il procuratore Daniele Barberini - ma la provincia era a terra, la gente era prostrata. Si voleva capire cosa fosse accaduto per evitare che si possa ripetere".
La risposta adesso è lì, nell'avviso di garanzia, ma lascia inesplorato il tema delle responsabilità politiche, le colpe di un'amministrazione regionale che da anni sa che la zona è un punto infuocato del dissesto idrogeologico, e che - come spiega Gianluca Sardelli, del comitato alluvionati di Traversara - "ha pensato di risolvere il problema piantando alberi nei letti dei fiumi": "La prima responsabilità politica - dice Elena Ugolini, capogruppo del Patto Civico in Regione - è di chi, dal 2005, sapeva che si sarebbero dovuti fare lavori di sistemazione dell'argine proprio nel tratto da Boncellino a Traversara, che si è rotto quattro volte. Intanto le risorse stanziate per i lavori di sistemazione dell'argine sono state dirottate. Così non sono stati fatti i lavori che avrebbero evitato il disastro".