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Le morti bianche dimenticate perché non sono glamour

Dopo un 1 maggio surreale in cui disoccupazione, incidenti e scarse tutele sono state soppiantate dalla retorica ideologica di Fedez, la morte di Luana è uno schiaffo all'egoismo

Le morti bianche dimenticate perché non sono glamour

È servita l'ennesima manifestazione di un dramma sociale e umano per zittire finalmente le speculazioni sul discorso di Fedez pro-Ddl Zan durante il concerto del Primo Maggio. È servita, cioè, una tragica morte, quella di una giovane mamma, Luana D'Orazio, vittima di un incidente in una fabbrica tessile a Montemurlo, nella provincia di Prato.

Ma per chi ha l'abitudine di manipolare, confezionare e somministrare un tanto al chilo la realtà per come non è, un fatto di cronaca nera che racconta bene un problema storico del nostro Paese (negli ultimi anni, dopo la Francia, l’Italia è stato il paese Ue con più morti bianche) non potrà che passare inosservato. E invece, l'ultimo urlo di Luana D'Orazio a poche ore dalla festa dei lavoratori che meno si è occupata di lavoratori della storia, ha squarciato il velo di ipocrisia di uno show di cattivo gusto, per la forma, per il contenuto, per la costruzione narrativa ma, al di sopra di ogni cosa, per il totale e strumentale distacco dalla realtà.

L'urlo di Luana si aggiunge a quello degli altri 120 morti sul lavoro da inizio anno (dati Anmil). Uno al giorno. Ignorati, scavalcati, sepolti sotto il peso dell'ideologia. Ma si sa, le morti bianche non sono "fashionable", non aiutano a rimediare like sui social, non veicolano le coscienze di centinaia di migliaia di giovani post-ideologici a cui dover vendere smalti per le unghie. Eppure, è un dramma di cui non si parla mai. Prima lo si faceva il Primo Maggio, ed era già insufficiente ed ipocrita. Ora nemmeno più nel giorno della festa dei lavoratori. Di quelli che muoiono per lavorare o di quelli che, per poter lavorare, darebbero la vita. Nella prima categoria rientrano anche le 1.156 persone decedute nel 2019, (ultimo degli anni con le statistiche non inflazionate dal Covid), oltre tre al giorno. Ma pure le tante, troppe persone che nell'infausto 2020 sono state costrette a lavorare, per il bene di tutti, senza distinzioni, senza tutele di fronte ad una pandemia: 1270 casi mortali, un terzo dei quasi, secondo l'Inail, è da attribuire ad infezione da Covid. Fanno parte della seconda, invece, i 945mila occupati in meno del 2021 rispetto a febbraio 2020. Le vittime collaterali, cioè, del devastante impatto economico del coronavirus.

Giovani, donne, over 55 che rischiano di non essere più collocabili, un esercito di dimenticati a cui è stata tolta anche la possibilità di far sentire la propria voce in una giornata dedicata al diritto su cui si fonda la Repubblica Italiana. Come se non fosse già sufficiente per tracciare uno scenario agghiacciante, da questi freddi numeri sono esclusi quelli che, in teoria, un lavoro ce l'hanno. Ma sono i cosiddetti lavoratori "fragili", malpagati, frustrati, privati di qualsiasi tutela. Ipotizzare un dato che li possa raggruppare tutti è impossibile. Alcune stime parlavano di 1,5 milioni di lavoratori. Ma la pandemia ha stravolto così tanto i concetti di "giusta tutela" che oggi come oggi quelli che avrebbero il diritto di essere inclusi nel concetto di "fragilità" sono certamente molti di più.

In questi mesi così bui, gli italiani sono stati costretti loro malgrado a prendere coscienza di tante cose, il concerto del 1 maggio ne ha aggiunta una: i padri costituenti idearono una Repubblica fondata sul lavoro, nel Terzo millennio i social, gli influencer, gli intellettuali e gli artisti politicamente corretti, i media nazional-popolari, l'hanno trasformata nella Repubblica fondata sulle Instagram stories.

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