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"I due italiani in Congo uccisi dal fuoco amico". Il militare non ha sparato

Niente scorta, auto blindate e giubbotti antiproiettile. E troppi silenzi sono sospetti

"I due italiani in Congo uccisi dal fuoco amico". Il militare non ha sparato

«Gran parte dei poliziotti e militari congolesi sono un'Armata Brancaleone, poco addestrati e con il grilletto facile. Figuriamoci i ranger del parco nazionale intervenuti per primi dopo l'imboscata del 22 febbraio. Non c'è da stupirsi se aprendo il fuoco abbiano ucciso, per sbaglio, l'ambasciatore ed il carabiniere» spiega al Giornale chi ha fatto il lavoro di scorta in Congo.

I due ostaggi italiani potrebbero essere stati uccisi da «fuoco amico» colpiti da 4 proiettili di kalaschnikov, l'arma più usata in Africa, tutti sul lato sinistro, due per ciascuno. Vittorio Iacovacci, il carabiniere di scorta, non poteva neppure reagire perchè la sua pistola d'ordinanza è rimasta sul fuoristrada bianco del Programma alimentare mondiale. Il caricatore era intatto con tutti i proiettili. Gli assalitori hanno sparato subito all'autista, Mustapha Milambo, che si rifiutava di scendere e hanno tirato giù dall'auto l'ambasciatore Luca Attanasio ed il suo unico uomo di scorta, che evidentemente non ha potuto prendere la pistola.

Un altro aspetto incredibile è che l'imboscata sia avvenuta 20 chilometri a nord di Goma, a Kibumba, chiamata la zona delle tre antenne. Nell'unico video amatoriale, molto confuso, dell'agguato si intravede per poco una collina che domina la strada con delle antenne radio. Una posizione probabilmente presidiata dai militari. Per questo i rangers del vicino parco nazionale di Virunga sono intervenuti dopo un quarto d'ora.

Il terzo italiano, Rocco Leone, vicedirettore del Programma alimentare mondiale, zoppicava e sarebbe rimasto indietro. Si è salvato così dandosi alla fuga durante il conflitto a fuoco. La sua guardia del corpo è stata colpita, ma ha salvato la pelle fingendosi morta. Nel caos della sparatoria scoppiata con i rangers, Iacovacci è morto sul colpo. Attanasio, gravemente ferito, è stato prima trasportato dai caschi blu pachistani e poi all'ospedale della missione Onu a Goma, ma purtroppo inutilmente.

Sulla tragica imboscata sono state aperte tre inchieste: una del dipartimento per la sicurezza dell'Onu (Undss), quella della procura di Roma, che ha inviato i Ros in Congo e le indagini delle autorità congolesi. Il governo di Kinshasa ha mandato a Goma sei esperti nel settore Difesa e sicurezza per capire cosa è accaduto. Il Programma alimentare mondiale dovrà chiarire perchè non è stata chiesta una scorta adeguata nè ai caschi blu, nè alle autorità congolesi. E soprattutto non sono state usate macchine blindate e giubbotti anti proiettile.

La presidenza congolese ha convocato ieri alcuni ambasciatori stranieri per fornire informazioni sull'attacco, dopo il divieto di spostamenti dei diplomatici fuori dalla capitale senza autorizzazione. Jean-Jacques Diku, rappresentante dell'Unione per la democrazia e il progresso sociale, il partito di governo a Kinshasa, sostiene che «non ci sia stata comunicazione da parte del Pam della presenza dell'ambasciatore Attanasio. Se le autorità locali non erano state informate bisogna chiarirne i motivi».

Il politico di maggioranza sostiene che «secondo la dinamica dei fatti c'è stato un tentativo di rapimento andato male quando le guardie della zona hanno cercato di intervenire».

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