I fan di Luigino ai giornalisti: "È solo un abuso, andate via"

Durante il blitz dei vigili i paesani minacciosi fermano i cronisti. E il Tg1 "nasconde" la notizia del sequestro

Il magazzino dell'azienda di famiglia dei Di Maio
Il magazzino dell'azienda di famiglia dei Di Maio

L'uomo con la felpa rossa pare un doganiere inflessibile: «Qua non si passa. Voi giornalisti non potete entrare». Il fortino dei Di Maio è inavvicinabile. E a tenere a bada i cronisti ci pensa una folla di paesani, piccola ma agguerrita. «Andate via, andate via». «Che sarà mai un abuso». E ancora: «Di Maio è l'orgoglio della nazione».

Urla ringhiate in faccia alle telecamere e ai taccuini imbottigliati in Corso Umberto che in realtà, al di là del nome altisonante, è una strada stretta dove passa a malapena una macchina. Per raggiungere la proprietà del padre del vicepremier bisogna addentrarsi in un vicolo ancora più angusto. In fondo, dopo un'ulteriore curva a destra che toglie pure la visuale, c'è il cancello che delimita i terreni della famiglia.

Un'auto dei vigili, col muso rivolto verso le sbarre lontane, blocca come una diga l'ingresso nella vietta laterale. Ma il blocco non è completo, si potrebbe pure sgusciare. Solo che ci sono loro, gli abitanti compatti come la falange evocata dal ministro. E c'è lui, il capopopolo con la felpa. Il più esagitato. Inarrestabile. Minaccioso. «Questa è proprietà privata», urla con tutti i decibel in gola. Non ci sono lucchetti, non c'è lo straccio di un cartello, non ci sono segnali, ma comanda lui.

Il vigile che gestisce la piazza, imbarazzatissimo, prova a calmarlo, ma ogni mossa della muta dei cronisti provoca reazioni isteriche. Alla fine la guardia allarga le braccia: «Sono le estemporaneità locali». Però le estemporaneità locali sono un muro invalicabile e una sentenza inappellabile contro la stampa.

Su quel cavillo della proprietà privata si infrangono per ore tutti i tentativi di ingresso. Solo il Giornale sfugge per qualche istante al rigore dei pasdaran, poi il blocco torna ferreo. E tornano gli insulti: «Voi vi occupate solo di Di Maio e non vedete i traffici veri». «È il potere, è il potere», sillaba con tono distaccato, un vecchio con in testa una coppola. Un signore di mezza età va giù pesante: «Voi scrivete quello che vi ordinano di scrivere».

Ci sono gli inviati dei più noti quotidiani. Quelli dei telegiornali, anche se a sera il Tg1 diretto da Giuseppe Carboni (nominato in quota M5s) decide di non inserire la notizia tra i titoli di apertura. Ci sono anche gli inviati di alcuni talk televisivi seguiti dal grande pubblico. Con loro i fotografi, i più nervosi perché il lavoro sfugge fra le dita come sabbia. «Non ci state tutelando», s'indigna un collega della tv rivolgendosi alle divise trasformate in parafulmini. Il vigile, esasperato, telefona a sua volta per ricevere istruzioni ma la risposta dei superiori è un classico all'italiana. Sfuggente, quasi neutrale, come il mossiere al Palio di Siena.

La felpa rossa rintuzza un nuovo tentativo di sconfinamento e precisa: «Di Maio non c'entra, è una questione di principio». Un cronista, ingenuo, interpreta la frase come un segno di disponibilità e lo prende sottobraccio. L'altro, tarantolato, si scosta con un'espressione di disgusto. Parole a mezza bocca. Frecciate. Accenni di rissa. Il piccolo coro conosce solo un registro: «Andate via» . «Qua non dovete rimanere». E poi: «Basta con questo accanimento». «Occupatevi delle questioni più importanti».

Un ragazzo in sella a un motorino transita senza casco, lentissimo e imperturbabile, davanti a quel crocchio che ribolle. Il vigile, impegnato a non far degenerare la situazione, non se ne accorge. Qualcuno glielo fa notare e lui si giustifica: «Non l'ho visto».

Non se ne esce. Poi finalmente la pattuglia torna in municipio e il partito dell'informazione si disperde.

Una signora di passaggio non riesce a trattenere la curiosità: «Ma che sta succedendo?». E il suo sorriso è il primo della giornata.

La «dogana» di Corso Umberto però non smobilita: la terra dei Di Maio resta sotto protezione. Via gli avvoltoi della notizia.

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