Per i jihadisti ko militare ma vittoria diplomatica. Legittimato il 7 ottobre

Grazie all'intermediazione del Qatar un successo politico di lungo termine

Per i jihadisti ko militare ma vittoria diplomatica. Legittimato il 7 ottobre
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Da una parte il fronte del Qatar e della dirigenza all'estero di Hamas. Un fronte convinto di poter puntare su una vittoria di lungo periodo da conseguire durante le lunghe trattative successive al cessate il fuoco.

Dall'altra l'ala militare arroccata tra le rovine di Gaza e preoccupata che la consegna delle armi e degli ostaggi rappresenti non solo un'irrimediabile sconfitta, ma anche il preludio ad un totale sradicamento dalla Striscia.

Alla fine, però, sulle paure dei militanti in armi sembrerebbero aver avuto la meglio i diktat del Qatar e di una dirigenza in esilio ospite, non a caso, dei grattacieli di Doha. Su quel quadrante l'obbiettivo è una vittoria politica proiettata in avanti nel tempo. Una vittoria non dissimile a quella conseguita dai talebani sempre pronti a ricordare nei venti anni di guerra alla Nato la differenza tra i propri militanti, padroni assoluti del tempo, e gli eserciti occidentali costretti a combattere guardando gli orologi e i calendari delle democrazie.

Stavolta, però, capi politici di Hamas e padrini qatarioti sono pronti a giocarsi anche l'asso del riconoscimento dello Stato Palestinese regalato loro da Francia, Inghilterra, Canada e Australia e chissà ancora dchi altro. Un asso preziosissimo che nell'interpretazione islamista rappresenta il riconoscimento della lotta armata e la legittimazione delle stragi del 7 ottobre.

Per capirlo bastano le dichiarazioni dei capi in esilio e di alcuni autorevoli esponenti del pensiero di Doha, capitale non solo dell'Emirato, ma anche di quella Fratellanza Musulmana dalla cui costola nacque Hamas. "Il diluvio Al Aqsa (le stragi del 7 ottobre, ndr) ha portato la questione palestinese al centro dell'agenda internazionale" mentre "il riconoscimento internazionale dello stato di Palestinese - sostiene Osama Hamdan membro dell'ufficio politico di Hamas - è un passo nella giusta direzione risultato della resistenza del popolo palestinese e in particolare del diluvio di Al Aqsa".

Un'interpretazione condivisa da Abdallah Al-Amadi, ex-consigliere del ministero dell'Educazione di Doha e vice direttore del quotidiano di stato Al Sharq. "Ogni paese arabo - scrive Al-Amadi - si attribuisce il merito del riconoscimento della Palestina, ma la verità è che i martiri di Izz Al Din Al Qassam (ala militare di Hamas, ndr) guidati da Sinwar sono il diluvio che ha risvegliato il mondo dal letargo". Un'interpretazione che il Qatar e i leader politici di Hamas contano di far valere davanti al proprio popolo, alle nazioni arabe e nei confronti di un'Autorità Palestinese sclerotizzata, corrotta e ormai del tutto priva di credibilità.

Un'Anp costretta, tra l'altro, a far i conti con il peso dell'ala fedele a Marwan Barghouti, il leader in carcere sostenitore di un governo di unità nazionale con Hamas. Una svolta che i capi di Hamas contano d'imporre non appena si sceglieranno i rappresentanti palestinesi chiamati a formare l'autorità responsabile della gestione della Striscia dopo il ritiro israeliano.

Anche perché l'umiliante telefonata di scuse al premier di Doha Mohammed Bin Abdulrahman al-Thani imposta al premier israeliano Banjamin Netanyahu ha evidenziato come Trump attribuisca all'alleanza con l'Emirato un peso pari a quello riservato fin qui a Israele.

Quanto basta per temere che l'Hamas apparentemente sconfitto e cacciato dalla Striscia torni a guidarla grazie all'aiuto dei padrini qatarioti.

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