I sindacati che non amano il lavoratore in azienda

Il Paese potrà sperimentare un cambiamento di approccio che travolgerà anche il sindacato, migliorandolo

I sindacati che non amano il lavoratore in azienda
00:00 00:00

Ci sono voluti 78 anni per avere una legge che riconoscesse il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, attuando quanto previsto dall'art. 46 della Costituzione.

Certo non è che in questo tempo non si è fatto nulla: dal 1947 il lavoro è fuoriuscito dalla sua dimensione corporativa e si è espanso, facendosi diritto a tutto tondo e consentendo l'affermazione del sindacalismo dalle cui battaglie sono emersi diritti che oggi diamo per scontati quando tali non erano. Abbiamo anche fatto a tempo a vederla tramontare quella stagione in cui i sindacati avevano un peso e stavano insieme nella consapevolezza che l'unitarietà conferiva loro la forza da sfruttare a vantaggio di rivendicazioni trasformative, nell'interesse del paese.

Non tutto è andato per il verso giusto e tanti sono stati gli errori commessi proprio da quel mondo, partito per difendere i lavoratori e che oggi sembra aver smarrito la strada, strozzato tra aspirazioni di protagonismo politico e lo smarrimento di un presente che il sindacato fatica a leggere. Questa non è la sede per parlarne, ma resta un segno dell'incapacità di leggere e interpretare la rivoluzione industriale profonda che stiamo vivendo.

Qui si solleva anzitutto una critica di metodo ai detrattori di principio, che abbondano proprio nel sindacato, le cui reazioni paiono dettate più dal fastidio di essere messi da parte dalla Cisl - il sindacato proponente che con 400 mila firma e un buon dialogo con il Governo ha fatto sì che la legge vedesse la luce - che dalla concretezza dei loro commenti negativi. Si legge che la legge appena approvata dal Senato (a larghissima maggioranza, peraltro) indebolirebbe il ruolo della contrattazione collettiva e svilirebbe la rappresentatività sindacale, integrando un attacco al ruolo del sindacato e un atto di impoverimento dei lavoratori. Sono commenti tanto ingenerosi quanto non veritieri, che creano inutile confusione e rumore di cui non c'è bisogno in tempi in cui si vuole a tutti i costi fare fatica a capirsi sulla base della realtà. Il paradosso ideologico e culturale è che arrivano non solo dal Partito Democratico ma perfino dagli altri sindacati.

Magari la norma non è perfetta, e sfido a trovarne di tali di questi tempi; ma nel disporre regole generali e attuative di meccanismi di partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione, al capitale sociale e creando un comitato paritetico destinatario di funzioni consultive sulla gestione e le linee di indirizzo, è indubbio che introduca nell'ordinamento una assai forte stimolazione a che la relazione sindacale recepisca tali innovazioni.

Siamo in presenza di una potente spinta in avanti nel clima asfittico che affligge il confronto sindacale, incapace di governare i cambiamenti in atto nella nostra società e arreso alla formulazione di richieste rivendicative volte a ottenere un riconoscimento che il sindacato non riesce più a guadagnarsi sul campo. Ecco perché la legge è cosa buona per il mondo del lavoro, perché grazie ad essa, finalmente, il paese potrà sperimentare un cambiamento di approccio che travolgerà anche il sindacato, migliorandolo.

Ma come tutti i cambiamenti, la resistenza andrà superata dalla esperienza pratica. E allora brava la Cisl, che ha avuto il coraggio di cambiare, e bravi coloro che hanno votato una norma che, se attuata, potrà avere effetti rivoluzionari.

*Avvocato e giuslavorista

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica