Serve un segno, una mossa dei Paesi del Golfo, un qualcosa insomma che mostri «la cooperazione del mondo arabo», ha detto l'altro giorno il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Il segno in Italia è arrivato, l'hanno dato i cittadini e non i governi, ma la pioggia se l'è già portato via insieme agli striscioni e alle parole dei manifestanti. Pochi, bagnati, magari sfiduciati. E così alla fine a restare negli occhi è la faccia di Susanna Camusso e degli altri politici in passerella, da intrusi. Forse bastava poco, solo una bella foto, per far vedere che gli islamici che vivono con noi non hanno nulla a che vedere con il Califfato di Raqqa e i fatti di Parigi. Ma se l'immagine che rimane è quella del segretario della Cgil o del leader del Prc Paolo Ferrero, del regista Paolo Virzì o del presidente della commissione Esteri del Senato Pier Ferdinando Casini, significa che qualcosa non funziona. Eppure le premesse erano ottime. «L'Isis è un cancro, quello che hanno fatto è un attacco a una comunità intera». Le comunità islamiche in Italia avevano deciso di mobilitarsi, nella preghiera del venerdì era stata inserita una dura condanna degli attentati, il segretario della grande moschea di Roma Abdellah Redouane aveva detto che «il terrorismo non può continuare a colpire in nome dei musulmani». Dunque tutti in piazza, con la parola d'ordine not in my name. Giovani, anziani, qualche donna con il hijab, gente davvero furiosa con terroristi e fondamentalisti. «No alla violenza», «L'Islam è pace», «Segnaleremo tutti i sospetti».
Peccato la pioggia, Tremila a Milano, ancora di meno a Roma, dove la manifestazione è durata una scarna oretta. C'era quasi più gente sul palco che per strada, però per Khalid Chaouki, Pd, «è stata un successo». Alla fine tutti dalla Boldrini. MSc- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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