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"I tre capi M5s contro il leader leghista sono il segno di una grande debolezza"

Il politologo: "Di Maio, Di Battista e Fico colpiscono insieme per marcare Salvini e hanno bisogno di sventolare le proprie bandiere"

"I tre capi M5s contro il leader leghista sono il segno di una grande debolezza"

Tre tenori per sorreggere una leadership debole. Alessandro Campi, fra i più acuti politologi italiani, legge senza tentennamenti la nuove fase della politica 5 stelle: tre voci sul palcoscenico. Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico. Tutti insieme e tutti contro Matteo Salvini. «Non c'è dubbio - spiega Campi - che questa sia la risposta del Movimento alla grave crisi della leadership di Di Maio».

Di Maio da solo non è in grado di contenere Salvini?

«Mi pare evidente. Sempre di più. Nel duello fra i due vicepremier Di Maio esce sempre ammaccato».

Quindi?

«I Cinque stelle cominciano a essere seriamente preoccupati: la forbice fra i due partiti è ormai vicina ai dieci punti percentuali e i discepoli di Grillo sono quasi sempre costretti a inseguire la Lega che detta il ritmo come un metronomo».

Ecco allora lo schema a tre punte?

«Per rimediare alla leggerezza di Di Maio scendono in campo gli altri due pesi massimi del partito: Alessandro Di Battista e Roberto Fico».

L'obiettivo?

«Marcare Salvini senza lasciarselo scappare. Di Battista e Fico in realtà sono intercambiabili e rappresentano l'anima terzomondista, più di rottura, rispetto a Di Maio. Ma i tre, per esempio sulla battaglia per fermare la Tav, ripetono gli stessi concetti e dicono le stesse cose. I vertici dei Cinque stelle hanno un bisogno disperato di intestarsi una battaglia per motivare i militanti e catturare i consensi in uscita».

È una mossa che può funzionare?

«Lo vedremo. I grillini hanno compreso benissimo che non potranno vivere di rendita in eterno. Se alle europee Salvini dovesse passare la barriera del 30% a fronte di un calo pentastellato e contemporaneamente Forza Italia dovesse ottenere un risultato discreto, allora si potrebbe anche riaprire la partita del governo».

Salvini potrebbe tornare alla formula del vecchio centrodestra?

«Certo. E dunque si cerca di prevenire la frana e di bloccare sul nascere scenari alternativi. Ma non è impresa facile. E anche l'azione del premier Conte ha tolto certezze a Di Maio».

Il premier invisibile ora fa ombra al suo vice?

«Si, Conte doveva essere una controfigura senza personalità. Ma ora anche lui si è ritagliato un ruolo, di mediazione e di governo, e cosi sottrae spazio a Di Maio. Conte per certi aspetti è la quarta anima grillina».

La lega invece si riconosce nel Capitano?

«La leadership è forte e il partito ben radicato e organizzato, con il centro che controlla la periferia. Una combinazione virtuosa che in questo momento premia la Lega, solo la Lega. Salvini sale, il partner di governo risponde con la tenaglia a tre nel tentativo di bloccare l'emorragia e oscurare l'astro leghista».

Tre tenori per la Tav?

«Sull'immigrazione domina Salvini. Sul reddito di cittadinanza ormai siamo ai nastri di partenza e in ogni caso gli effetti della manovra si dispiegheranno nel tempo, dopo le Europee. Per tentare una rimonta ci vuole un tema forte, come la Tav. Una bandiera da impugnare, da una parte e dall'altra. Come la crisi del Venezuela che però tocca molto meno gli italiani, distratti quando si parla di politica estera».

Dovremo abituarci a questa formula?

«Sì, fino alle europee. Poi gli alleati peseranno i voti e decideranno di conseguenza».

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