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Cosa non torna nel piano Ue per frenare gli arrivi dalla Libia

L'Ue vorrebbe far avanzare un piano di tre punti per frenare i flussi migratori dalla Libia. Ma non mancano perplessità sia politiche che strategiche

Cosa non torna nel piano Ue per frenare gli arrivi dalla Libia

Un piano in tre punti per provare a mettere un immediato freno alle partenze dalla Libia. È questa l'idea che lungo l'asse tra Roma e Bruxelles si sta cercando di preparare nei dettagli in vista del consiglio europeo del 24 e 25 maggio prossimi. Un piano ambizioso, ma per il quale non mancano le criticità. Così come non mancano le perplessità, espresse dallo stesso nostro ministro dell'Interno Luciana Lamorgese.

Il piano in tre punti

Del progetto dell'Ue sulla Libia se ne stanno occupando in questo momento principalmente tre persone: Oliver Varhelyi, commissario Ue all'allargamento, Luigi Di Maio, ministro degli Esteri italiano, infine Carmelo Abela, ministro degli Esteri maltese. Tutti e tre stanno pianificando, come rivelato da Repubblica, un viaggio in tempi brevi in Libia.

A Tripoli, dinnanzi al nuovo governo insediato a marzo, porteranno in dote una bozza del piano europeo per provare a frenare i flussi migratori. Si tratta di un accordo concernente tre punti. Il primo riguarda un vero e proprio patto di partenariato tra Ue e Libia. L'impostazione dovrebbe essere quella del trattato di amicizia siglato tra Roma e Tripoli a Bengasi nel 2008. Questo consentirebbe l'attivazione di una serie di collaborazioni di natura sia economica che militare, in grado di aiutare la Libia da un lato a ricostruire il proprio tessuto socio/economico, dall'altro a controllare meglio le proprie coste.

L'altro punto invece riguarda il discorso relativo ai confini meridionali del Paese. È da qui infatti che passa il 90% dei migranti diretti verso i porti della Tripolitania, da cui poi ci si imbarca alla volta dell'Europa. Il controllo delle frontiere terrestri delle regioni meridionali non è un argomento del tutto inedito. Anzi, nel trattato italo-libico del 2008 l'articolo 19 prevedeva già la costruzione, da parte italiana, di un sistema di telerilevamento. Un modo per aiutare Tripoli a monitorare la situazione lungo confini tracciati sulla sabbia del Sahara e dunque per natura quasi impossibili da perlustrare.

Infine, il terzo punto riguarda l'appoggio alla Guardia Costiera libica. L'Ue si impegnerebbe nel dare ulteriore supporto al corpo militare, attualmente formato soprattutto da milizie. Un discorso che vale sia sul fronte dell'addestramento che del finanziamento per la donazione di nuovi mezzi.

Le perplessità

Di fatto il piano europeo altro non è che la trasposizione in ambito comunitario dei piani portati avanti dall'Italia negli ultimi anni. La partnership strategica con Tripoli era stata inaugurata ai tempi di Gheddafi dal governo di Roma, il finanziamento e l'addestramento della Guardia Costiera libica è stata portata avanti dall'Italia dal 2017 in poi, dopo la firma del memorandum voluto da Marco Minniti. E anche il controllo delle frontiere è argomento emerso durante l'era del rais nel dialogo tra Libia e Italia.

Il governo di Mario Draghi vorrebbe quindi investire l'Europa degli oneri e degli onori fino ad oggi avuti unicamente dall'Italia. Da un punto di vista politica occorre capire se la mossa gioverà o meno al nostro Paese: di fatto Roma fa avanzare Bruxelles su piani già parzialmente messi in atto autonomamente.

C'è poi il discorso pratico: l'emergenza immigrazione è in queste settimane, l'impennata di sbarchi sta pesando oggi sull'Italia. I nuovi patti con la Libia potrebbero avere effetti soltanto a lungo termine. Inoltre sull'affidabilità Ue sono state espresse non poche riserve dallo stesso ministro dell'Interno Luciana Lamorgese: “Attualmente – ha dichiarato ieri in audizione al comitato parlamentare di controllo degli accordi di Schengen – il patto Ue in discussione non soddisfa tutte le richieste italiane”.

L'unico elemento realmente positivo riguarda il fatto che si torna a parlare di piani volti ad andare oltre le coste libiche e di risolvere la situazione nei territori dove si origina il flusso migratorio.

Occorre vedere se i buoni propositi europei possano trasformasi in realtà nel giro di poco tempo.

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