Indagini in stallo: complici introvabili

Caccia agli altri della banda. I carabinieri ammettono: "Volatilizzati gli altri due malviventi"

Indagini in stallo: complici introvabili

Milano - Con un po' di esperienza e qualche esercizio di logica, tutto prende senso e acquista una forma ben precisa. E così gli uomini del nucleo investigativo di Monza non hanno una certezza assoluta (che in questa fase dell'inchiesta non c'è quasi mai) ma anche pochissimi dubbi: sarà arduo (anche se dovrebbero far parte di una cerchia piuttosto ristretta) rintracciare e arrestare i complici dell'albanese 22enne ucciso con un colpo di pistola nella notte tra lunedì e martedì in una villetta di Vaprio d'Adda dal padrone di casa, il pensionato 65enne Francesco Sicignano. Un uomo la cui sorte di indagato per omicidio volontario è legata a un filo forse non così sottile come si ipotizzava in un primo tempo. Il filo è quello dell'ormai arcinota ogiva ritrovata nella sua cucina - dove l'uomo sostiene di aver sparato al giovane ladro - e da molti organi di stampa data per «inesplosa». Tutta la polemica di questa vicenda, infatti, vuole Sicignano uno sceriffo dal grilletto facile perché il corpo dell'albanese in fin di vita è stato poi ritrovato dai soccorritori del 118 sulla scala esterna all'abitazione, fatto che «accusa» il pensionato di avergli sparato non in cucina come sostiene lui, ma prima che il ladro gli entrasse in casa. Se risultasse invece che l'ogiva in questione, ora mandata alla sezione balistica del Ris dei carabinieri, è esplosa e proprio dalla pistola del pensionato, se fosse anche sporca di sangue, la versione dei fatti fornita dal 65enne risulterebbe più che attendibile. E l'ogiva risulterebbe quella del proiettile, finora introvabile, che ha colpito e ucciso il 22enne.

Intanto proseguono le indagini sui complici del morto. «Il ragazzo morto faceva sicuramente parte di una banda di connazionali - spiega un carabiniere - se accade qualcosa di grave si dileguano tutti e subito, per far perdere le loro tracce fino a quando le acque non si sono calmate». Chi indaga sta facendo pressione in questo senso sulla ragazza del morto, per il momento però senza risultato. La giovane, una ventenne pure lei albanese ma incensurata, sarebbe stata «usata» dai due balordi in fuga per andare in avanscoperta e sondare il terreno la mattina seguente la sparatoria di Vaprio.

«Quando i complici del giovane ucciso quella notte si sono accorti che il loro connazionale non tornava più indietro dalla villetta, hanno “spedito” la sua fidanzata a fare denuncia di scomparsa alla stazione dei carabinieri di Trezzo sull'Adda, dove i conviventi vivevano, per accertarsi delle fine toccata al ragazzo e quindi regolarsi di conseguenza. Nel momento in cui la giovane donna ha riconosciuto nel corpo senza vita (e fino ad allora senza nome, età ed etnia d'origine precisa) all'obitorio milanese di piazzale Gorini il cadavere del suo convivente, gli altri due albanesi che stavano con la vittima quella notte in via Cagnola a Vaprio d'Adda, anche senza comunicare direttamente con la ragazza, non hanno avuto più dubbi su quel che era capitato al loro complice e quindi anche sul da farsi. Ora naturalmente la fidanzata del 22enne morto non parla e nega che sia andata così.

Ma per quale ragione, altrimenti, la giovane donna di un balordo clandestino, pieno di precedenti, già finito in cella e scarcerato, già allontanato in maniera coatta dall'Italia e rientrato sempre irregolarmente nel nostro Paese, la mattina successiva alla rapina a cui lui ha partecipato, si affretta a denunciarne la scomparsa?».

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