No, non c'è alcun crollo emotivo, confessione. Né una prova regina. E nemmeno alcuna misura cautelare. Giosuè Ruotolo se ne va dopo otto ore di interrogatorio dalla Procura di Pordenone esattamente come ci è entrato, da unico indagato per l'omicidio di Trifone Ragone e Teresa Costanza, uccisi lo scorso 17 marzo nel parcheggio del palasport. E per dirla con le parole del Procuratore Marco Martani, che alle 19.35 esce dal palazzo di Giustizia, come «unica pista concreta» per ora nelle mani degli inquirenti, grazie a «indizi che non sono semplici sospetti». Nessun colpo di scena, ma un interrogatorio «lungo e dettagliato», fatto di «domande sui rapporti tra l'indagato e le vittime, i suoi comportamenti gli attimi successivi al delitto», e altrettante risposte che «andranno attentamente vagliate». Insieme ad altri punti che saranno oggetto di ulteriori «accertamenti». Se ne distinguono appena i tratti tesi e tirati, dietro lo sguardo rivolto verso il basso per proteggersi dall'assedio delle telecamere e dei giornalisti, nei pochi passi che il 26enne campano percorre prima di entrare in tribunale per l'interrogatorio della verità. Lo fa per parlare. Decide, insieme al collegio difensivo, di non avvalersi delle facoltà di non rispondere. Ma di spiegare. Lo farà per otto lunghe per ore, assistito dall'avvocato Roberto Rigoni Stern, faccia a faccia con pm titolari dell'inchiesta, Matteo Campagnaro e Pier Umberto Vallerin. Per la prima volta come indagato e non unicamente come persona informata sui fatti, come solo qualche mese fa era stato insieme ad altre centinaia ascoltate dagli inquirenti. Alla giornata della svolta, però, un cambio di versione getta nuove ombre sul profilo dell'ex commilitone di Trifone, alimentando il chiaroscuro che ancora offusca la posizione di Ruotolo in quella maledetta sera. Diversamente da quanto sostenuto fino ad ora, ovvero di essere sempre rimasto a casa, per paura di «possibili conseguenze», riferisce Martani, di fronte ai pm che lo interrogano, Ruotolo questa volta ritratta. E dice che no, dal suo appartamento in via Colombo in effetti era uscito. Avrebbe voluto andare al palasport, ha riferito il luogo del delitto, ma non avrebbe trovato parcheggio così si sarebbe deciso a fare jogging all'aperto. Per soli pochi minuti, prima di tornare nella sua abitazione per il freddo. Così ha spiegato anche la presenza della sua Audi a3 all'ora e nei paraggi del luogo del duplice omicidio, inquadrata da due videocamere di sorveglianza. Insieme al buco di quei 7 minuti che intercorrono tra un fotogramma e l'altro, distanti solo poche centinaia di metri.
Secondo l'accusa, il tempo necessario a commettere l'assassinio e gettare l'arma del delitto nel laghetto del parco san Valentino. «L'interrogatorio era uno strumento per consentire all'indagato di difendersi. Faremo i dovuti accertamenti», afferma il procuratore. In attesa degli esiti, cruciali, dei rilievi dei Ris.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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