Interventismo oppure non coinvolgimento. La destra trumpiana è divisa sul conflitto

L'amministrazione è fautrice del disimpegno generale. Ma tanti nel Maga sono per il pieno supporto a Israele

Interventismo oppure non coinvolgimento. La destra trumpiana è divisa sul conflitto
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La guerra tra Israele e Iran divide la destra americana e il mondo trumpiano tra i favorevoli a un intervento degli Stati Uniti e chi predica un non coinvolgimento statunitense. Se sulla guerra in Ucraina c'è un consenso pressoché unanime di arrivare a una soluzione diplomatica, il tema del Medio Oriente è molto più delicato e ha generato un forte dibattito anche all'interno del movimento Maga (Make America Great Again).

Pur essendo da sempre convissute varie anime nel Partito Repubblicano, nei primi anni Duemila quella prevalente era l'ala neocon (in particolare dopo l'11 settembre) favorevole all'interventismo in politica estera. L'apice di questa visione si è raggiunta con George W. Bush e la guerra in Iraq nel 2003. Si trattava di un mondo unipolare molto diverso da quello attuale in cui la Cina non era ancora una potenza economica e militare e la Russia era molto indebolita. Con l'avvento in politica di Donald Trump le cose sono cambiate ed è cresciuta nel Partito Repubblicano la critica all'interventismo americano proprio alla luce dell'esperienza in Iraq costata la vita a migliaia di soldati statunitensi a fronte di risultati insoddisfacenti.

Così, nel suo primo mandato da presidente, Trump ha puntato sul fatto di aver mantenuto la pace senza realizzare guerre e, nella campagna elettorale dello scorso anno, il raggiungimento di una soluzione diplomatica in Ucraina è stato un suo cavallo di battaglia. Nella seconda amministrazione Trump le componenti neocon non hanno ruoli di rilievo ma, dopo l'attacco di Israele all'Iran, anche il mondo Maga e quello conservatore si sono divisi sul posizionamento che gli Stati Uniti dovrebbero assumere. Tra i più strenui oppositori a un intervento americano ci sono trumpiani di ferro come Charlie Kirk (fondatore di Turning Point Us), Steve Bannon e l'ex anchorman di Fox Tucker Carlson. Proprio Carlson ha scritto un post affermando che «la vera divisione non è tra chi sostiene Israele e chi sostiene l'Iran o i palestinesi. La vera divisione è tra chi incoraggia la violenza con noncuranza e chi cerca di impedirla tra guerrafondai e costruttori di pace. Chi sono i guerrafondai? Tra questi ci sarebbe chiunque oggi chiami Donald Trump per chiedere attacchi aerei e un altro coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti in una guerra con l'Iran».

Mark Levin e Sean Hannity, due conduttori televisivi conservatori, hanno invece assunto una linea di pieno supporto a Israele, così come Yoram Hazony, ideologo della «National Conservatism», per cui «chiunque affermi che questo attacco sia un affronto agli Stati Uniti sta servendo la propaganda del regime iraniano, per credulità o per cattiveria».

Ha invece fatto discutere un intervento di Sohrab Ahmari, conservatore americano di origine iraniana, che ha messo in guardia dalle conseguenze che può avere un «regime change» imposto da Israele e dagli Stati Uniti mentre il direttore della storica rivista «Modern Age» Daniel McCharty ha scritto un editoriale dal titolo emblematico «questa è la guerra di Israele». Ora l'ultima parola su cosa fare spetta a Donald Trump.

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