Un intervento da 5 miliardi che comporta scelte drastiche

Ridurre la pressione fiscale tra 28mila e 60mila euro di reddito non ha un costo esorbitante ma il Patto di Stabilità va rispettato

Un intervento da 5 miliardi che comporta scelte drastiche
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Le parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sulla necessità di alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio italiano giungono in un momento decisivo per l'economia del Paese. È sicuramente lodevole porsi l'obiettivo di rendere il sistema più equo e incentivante per chi produce reddito, in un contesto in cui burocrazia e tasse sono divenuti ostacoli alla crescita. Ma quali sono le reali condizioni per un intervento?

Il ceto medio italiano, tradizionale motore dell'economia del Paese, si trova ormai in una condizione di sofferenza, intrappolato tra il fisco opprimente e un welfare che premia in misura maggiore chi non contribuisce. Le analisi di Alberto Brambilla, presidente del Centro studi Itinerari previdenziali, mettono in luce un paradosso che sta danneggiando la spina dorsale del ostro Paese. «Il 60% degli italiani paga solo l'8% di tutta l'Irpef», mentre «il 15,3% delle persone, che guadagnano oltre 35mila euro annui, si sobbarca la maggior parte dell'intero onere fiscale». Il risultato è che chi lavora, produce e investe nel Paese è penalizzato da un fisco sempre più asfissiante, mentre a chi evade o dichiara poco vengono concessi bonus e sussidi, con un effetto distorsivo che peggiora ulteriormente il sistema.

La volontà di Meloni di abbattere il carico fiscale è un passo necessario (oltreché una realizzazione delle promesse elettorali del centrodestra) in un Paese dove, secondo i dati della Fondazione Censis, il 70% degli italiani chiede una riduzione delle tasse, e l'80% denuncia un forte squilibrio tra quanto paga allo Stato e i servizi pubblici che riceve in cambio. Inoltre, la percezione diffusa tra i lavoratori dipendenti, cuore del ceto medio, è quella di un sistema fiscale che non riconosce il merito e penalizza la produttività, a fronte di un welfare sempre più generoso per chi non contribuisce attivamente all'economia.

Sono due le questioni che occorre analizzare: quanto costerebbe un primo intervento - definiamolo lenitivo - a favore di questi contribuenti che producono ricevendo in cambio poco o nulla e, in secondo luogo, verificare la sua sostenibilità nel quadro della finanza pubblica, messo alla prova di un Patto di Stabilità che sembra costruito su misura per affossare l'Italia, nonostante sia il Paese dell'area euro che meglio ha reagito alle intemperie degli ultimi anni. La risposta non è semplice perché non è ancora stata definita la strategia.

Come ha sottolineato la Fondazione dei Commercialisti, il taglio dell'aliquota Irpef al 33% per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro, come proposto dal governo, richiede risorse notevoli. Secondo le simulazioni, un abbassamento dell'aliquota dal 35% al 33% comporterebbe una spesa di circa 2,5 miliardi di euro annui. L'effetto, tuttavia, sarebbe pari a quello di un placebo poiché il risparmio per i redditi più elevati (in caso di estensione fino a 60mila euro dagli attuali 50mila), sarebbe attorno ai 450 euro annui. Raddoppiando la posta portandola tra i 4 e i 5 miliardi di euro, per i redditi superiori a 65mila euro i benefici sarebbero quantificabili in 1.200 euro annui, cioè 100 euro al mese in più per consumi e investimenti (inclusi i Btp che tanto stanno a cuore al ministro Giorgetti).

E qui si passa alla questione della sostenibilità che, tra le righe, ha lasciato trasparire il ministro dell'Economia affermando che «ci sono ancora due anni e mezzo». Attualmente non ci sono 2,5 miliardi (spesi per il dl Bollette) per il taglio minimo, non ce ne sono cinque per ampliare la platea (e non scontentare i percettori dell'ex bonus Renzi che si lamenterebbero della sua perdita in quanto tra 28 e 40mila euro ci sarebbero per loro effetti negativi). La soluzione sarebbe iniziare a tagliare veramente la spesa.

Ma con una pletora di bonus a destra e a manca il governo dovrà ragionare sulla possibilità di scontentare qualcuno, considerato che per la spesa sociale si spendono la bellezza di 164 miliardi di euro. È una questione di scelte.

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