"Io direttore d'hotel grazie a Love Boat. I capricci dei potenti? Champagne ai cani"

È il manager del Park Hyatt di Milano. È stato nominato il migliore al mondo

"Io direttore d'hotel grazie a Love Boat. I capricci dei potenti? Champagne ai cani"
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«Il sorriso, il modo di approcciarci, di dialogare di noi italiani fa la differenza nell'ospitalità. Partiamo sempre con un più uno sul resto del mondo». Sarà anche per questo che Simone Giorgi, del Park Hyatt di Milano, è stato premiato come miglior general manager di albergo del mondo dal Virtuoso Global Awards 2024.

Giorgi, se lo aspettava?

«Non quest'anno, dopo due anni di ristrutturazione che mi hanno visto un po' dietro le quinte. Però è un coronamento alla carriera».

Una carriera iniziata come?

«Molto dal basso. Sono di Firenze, facevo l'alberghiero e un giorno vengono in classe Giorgio Pinchiorri e Annie Féolde, cercavano ragazzi per una serata in cui all'Enoteca Pinchiorri cucinava Paul Bocuse, il padre della nouvelle cuisine. Io fui uno dei pochi ad alzare la mano e venni arruolato».

E perché alzò quella mano?

«Perché quella per il lusso era una mia passione. Sono del 1966, tornavo da scuola e vedevo Love Boat, una soap opera girata su una nave da crociera dove facevano vedere il barman, il direttore, il restaurant manager, uomini atletici, donne bellissime. Poi ero appassionato di superalcolici, anche se non li bevo».

Bizzarro. Il suo primo ruolo?

«Lavabicchieri e portapiatti. Prima di entrare in servizio ci guardavano le mani, i calzini, le scarpe, la barba, controllavano che non avessimo profumi, che sapessimo a menadito il menu. Tutti in fila, come soldatini».

Ora è ancora così?

«Non c'è più quel clima militaresco. Un tempo se venivi chiamato dal direttore ti trovavi in una stanza in legno intarsiato, poltrone importanti, musica classica di sottofondo. Mancava solo la poltrona di pelle umana di Fantozzi».

Torniamo a lei? Dopo l'Enoteca Pinchiorri?

«Porto Cervo, Madonna di Campiglio, il Bagaglino, Sankt Moritz, Londra, Parigi, poi New York alla Cornell University, Portofino, Capri. Poi dai Ferragamo alla Lungarno Collection di Firenze, Milano, di nuovo Firenze. E dal 2018 sono direttore generale al Park Hyatt Milano».

Cosa serve per essere un buon direttore d'albergo?

«Certamente un'ottima conoscenza trasversale della struttura dell'albergo, ma la cosa più importante è la gestione del personale, anzi delle persone. Passo più del 50 per cento a parlare con loro».

Esiste un italian touch nell'ospitalità?

«L'italianità nel mondo fa sempre la differenza. La naturalezza, il nostro modo di fare solare ma elegante».

Lei parla spesso di lusso. Una parola controversa come poche...

«Lusso per me è poter avere tutto ma sapere apprezzare le cose semplici».

Parliamo di clienti difficili...

«Mi piacciono, sono una sfida. Voglio fare uscire tutti con il sorriso. Se vai via scontento ti chiamo, voglio sapere perché, magari ti invito a tornare a nostre spese. Oddio questo non lo scriva altrimenti ora tutti andranno via con il broncio» (ride).

Come è cambiata la clientela negli anni?

«L'ospite paga di più e si aspetta di più. Prima quello che si poteva riparare si riparava, oggi si butta. Negli hotel è lo stesso: non mi trovo bene da te, prendo e vado da un'altra parte».

Qual è la richiesta più strana che ha ricevuto?

«Un personaggio importante voleva sposarsi a tutti i costi qui ma gli invitati erano troppi. Ma insisteva, mi supplicava: trovi una soluzione. Ho avuto un'idea, fare un doppio festeggiamento, a pranzo i parenti, a cena gli amici».

Più difficile dire di no al capriccio di un potente?

«Non nego che con personaggi importanti mi pesa di più dire di no».

Altre richieste assurde?

«Quella volta che il leader di una band tra le più importanti del mondo degli ultimi quarant'anni mi ha detto che non riusciva a dormire con troppo silenzio e voleva il rumore di sottofondo della città».

Fatto?

«Fatto».

Chi era?

«Glielo dico se non lo scrive (me lo dice. Non lo scrivo. Ma la band è leggendaria. E irlandese)».

Mai pensato di scrivere un libro sulle richieste dei potenti?

«Ne avrei da raccontarne. I nickname con cui prenotano le persone famose. Quello che chiede di ridipingere la stanza tutta di nero. Quello che mi chiede di registrare la partita di Champions League mentre si sposa. Quello che torna da una cena importante e ordina uno spaghetto al pomodoro. Per non parlare di quanto un vip mi chiese di sedermi con loro, erano tredici a tavola. Gli ho procurato un orso di peluche molto grande. Ma c'è di peggio».

Di peggio di un orsacchiotto a tavola?

«Una volta un vip

chiese in camera una tisana alla verbena e una bottiglia di Dom Pérignon. La tisana era per lui, lo Champagne era per i suoi bassottini, Tik e Tok. Non avrei mai pensato di vedere del Dom Pérignon versato in una ciotola...».

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