Cronache

"Io, sposa-schiava in Egitto. Il mio inferno di velo e botte"

Un incubo di 5 mesi, poi la fuga. Ora studia a Milano «Lui un violento ma la donna è considerata inferiore»

"Io, sposa-schiava in Egitto. Il mio inferno di velo e botte"

«Non potevo uscire da sola. Senza il velo non potevo neanche stare sul balcone. Dovevo tenere gli occhi bassi e se qualcuno mi guardava era la fine». Botte, umiliazioni, violenze. Ha vissuto come un fantasma Amina - la chiamiamo così. Cinque mesi d'inferno: tanto è durato il suo matrimonio con quell'uomo, in Egitto, suo Paese d'origine. Amina è nata in una cittadina lombarda. Una bella ragazza con gli occhi neri e pochi grilli per la testa, religiosa ma libera. Ora studia in un'università milanese ma ha sempre lavorato anche per dare una mano in famiglia. Una famiglia normale, osservante ma senza ossessioni: si fidavano di lei. «Mi sono diplomata - racconta - volevo un lavoro ma desideravo una famiglia». I genitori la spingevano in questa direzione: «Devi sposarti, sai, la gente parla». Sposarsi, magari con un egiziano. Nel corso di un viaggio in Egitto lo conobbe. Era molto giovane all'epoca: aveva 23 anni e lui 30. «Sì, ero innamorata di lui». Sembrava un ragazzo a posto: laureato, buon lavoro. Tutto normale fino al giorno delle nozze, quando tutto cambiò. Improvvisamente. In realtà qualche risposta aggressiva nei giorni precedenti l'aveva sorpresa e turbata. Ma la madre aveva sopito i dubbi: «È solo un po' teso, andrà bene vedrai». Invece è andato tutto male. Male come non poteva immaginare. Nel giorno del matrimonio fu una stretta di mano a scatenare l'inferno: una banale amichevole stretta di mano con un amico di lui appena conosciuto. «Mi ha dato una sberla che mi ha lasciato il segno sul volto». «Io ero disposta a mettere il velo e ad andare in moschea, sapevo quali condizionamenti e quale mentalità c'erano lì, ma la violenza no».

La violenza non l'aveva messa in conto e invece era la norma. «Violenza fisica, psicologica e anche nei momenti più intimi non c'erano rapporti normale». Rapporti morbosi, gelosia patologica, controllo totale, sottomissione, non solo a lui ma alla sua famiglia. Una volta la colpì con uno schiaffo perché aveva mostrato compassione per la cognata, subissata di continui ordini. «Non potevo dire la mia, il fatto che una donna possa dire la sua è inconcepibile, incompatibile con la posizione di inferiorità in cui è relegata. Ero sola, non avevo via d'uscita». Nel corso di una breve vacanza pensata come estremo tentativo di riappacificazione, Amina ebbe un momento di stanchezza - il motivo lo avrebbe saputo dopo - e ne scaturì una discussione che finì col marito che la trascinava per i capelli davanti a tutti. Superò ogni limite. «Ero incinta, ma non lo sapevo ancora. Purtroppo ho perso il bambino». Tornò al Cairo da sola e poi al paese: ore di viaggio. Fu il padre ad accoglierla e a gestire gli accordi di separazione, dopo il ripudio che poi lui si rimangiò - sul caso fu interpellato anche un imam. Il marito accettò di lasciarla solo dopo essersi garantito le doti - contro ogni precetto religiosa - e una ulteriore somma. «Abbiamo dovuto comprare la mia libertà» racconta. Oggi Amina ha una sola paura: «Rivederlo». A parte questo, e a parte il dolore che porta con sé, va in giro a testa alta a Milano e in Italia. «È il mio Paese, mi sento libera qui». Qui avrà tempo di rifarsi una vita, ma prima vuole che si sappia cosa ha passato. «Molte donne stanno subendo la stessa violenza, alcune le conosco. Voglio che questa sofferenza serva ad aiutarle». «È importante che si conoscano storie simili - commenta l'assessore regionale Pietro Foroni (Lega), che si sta molto impegnando su questo fronte - non per andare contro qualcuno ma per aiutare chi si trova in questa situazione. La Lombardia coglie il problema, riteniamo che ci possa essere dialogo fra centri islamici e istituzioni, ma col rispetto di principi irrinunciabili. Non possiamo mettere la testa sotto la sabbia o nasconderci dietro i silenzi come sinistra e femministe. Testimonianze simili ci spingono ad affrontare il tema dei diritti della donna e della pari dignità, requisito imprescindibile senza il quale è molto difficile un dialogo.

Noi vogliamo organizzare un convegno sulla situazione della donna nelle tre religioni monoteiste, e parlare in particolare dei problemi della donna nell'islam».

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