La regina Elisabetta “non era entusiasta” della riforma sulle regole di successione al trono

La regina sarebbe stata costretta ad accettare una nuova norma riguardante la successione al trono di cui, però, non sarebbe stata del tutto convinta

La regina Elisabetta “non era entusiasta” della riforma sulle regole di successione al trono

Dodici anni fa Il Parlamento britannico approvò un cambiamento storico, innovando l’istituzione monarchica del Regno Unito attraverso l'equiparazione dei diritti al trono degli eredi diretti dei sovrani, sia maschi, sia femmine. Le vecchie norme di primogenitura maschile, ormai anacronistiche, vennero abolite, riassestando gli equilibri legati al potere e proiettando la “Firm” nel futuro. La regina Elisabetta accettò la volontà del Parlamento, ma stando a un nuovo libro non sarebbe stata poi tanto “entusiasta” del profondo mutamento che avrebbe influenzato il futuro della royal family. Anche l’allora principe Carlo avrebbe condiviso le sue perplessità, chiedendosi fino all’ultimo se fosse la cosa giusta da fare.

Le regole di successione

Dal punto di vista normativo la monarchia britannica era sostenuta da quattro pilastri principali: il Bill of Rights del 1689, l’Act of Settlement del 1701, il Royal Marriages Act del 1772 e gli Acts of Union del 1707, come ha ricordato il sito ufficiale della royal family britannica. Documenti che potevano essere modificati solo attraverso un atto del Parlamento. In particolare l’Act of Settlement sanciva l’esclusivo diritto al trono dei discendenti protestanti di Sofia, Elettrice di Hannover (1630-1714), nipote per parte di madre di Giacomo VI di Scozia e I di Scozia, Inghilterra e Irlanda e madre di Giorgio I. Inoltre stabiliva il diritto di primogenitura maschile: nella successione al trono l’erede maschio aveva sempre la precedenza sull’erede femmina, anche quando quest’ultima era l’effettiva primogenita. Infine il Royal Marriages Act e l’Act of Settlement escludevano dalla successione al trono sia i sovrani cattolici, sia i sovrani o gli eredi sposati con un cattolico. Il monarca, infatti, è anche il Capo della Chiesa anglicana e uno dei suoi doveri è proprio quello di preservarla e di garantire una discendenza protestante.

La svolta del 2013

Nell'aprile 2013 le leggi per la successione al trono britannico vennero modificate con il Succession to the Crown Act voluto dal Parlamento. Il nuovo documento abolisce il diritto di primogenitura maschile rimpiazzandolo con quello della primogenitura assoluta. I discendenti del Re non possono più scavalcare le discendenti. L’ordine di nascita è l’unico criterio d’individuazione dell’erede al trono per tutti i nati dopo il 28 ottobre 2011. Il genere del monarca, di conseguenza, non ha più alcuna importanza. Inoltre il Succession to the Crown Act elimina la disposizione secondo cui è escluso dalla successione chiunque sposi un cattolico. Queste profonde trasformazioni nell’istituzione entrarono in vigore in tutto il regno nel marzo 2015.

Il Parlamento e la Regina

Il cambiamento nelle regole di successione con il Succession to the Crown Act rivoluzionò e modernizzò l’assetto della Corona. Sui media divenne quasi una sorta di successo personale della defunta Regina, sebbene la modifica fosse opera del Parlamento. In realtà, anzi, sembra che Elisabetta fosse piuttosto diffidente nei confronti del provvedimento, non del tutto sicura che si trattasse della soluzione migliore per la monarchia. Nel suo nuovo libro, “Power and the Palace. The Inside Story of the Monarchy and 10 Downing Street (in uscita l’11 settembre 2025), citato dal Mirror, il giornalista Valentine Low ha suggerito che né la Regina, né l’allora principe Carlo fossero ansiosi di vedere concretizzate le nuove regole.

Una “drastica riforma”

A volere e a portare avanti con determinazione questa trasformazione della monarchia sarebbe stato l’allora premier David Cameron il quale, ha riportato il Mirror, “insistette” affinché “la drastica riforma e il cambiamento della tradizione” venisse accettato in tutto il regno. Valentine Low ha scritto: “Fondamentalmente il Palazzo non era contrario [alla riforma]. Ma disse che il governo doveva assicurare il sostegno degli altri 15 reami [del Commonwealth]”. Una fonte ha spiegato al giornalista: “Ho sempre pensato che i segnali da Buckingham Palace indicassero che se la volontà del primo ministro eletto e in carica era quella e la questione dei reami poteva essere risolta, noi saremmo stati d’ostacolo. Non mi pareva che vi fosse grande entusiasmo da parte del Palazzo e della Regina”.

“House of Smith”

Secondo Valentine Low la riforma avrebbe turbato anche l’allora principe Carlo, perplesso e dubbioso circa le implicazioni che avrebbe avuto sul destino della Corona. Diverse volte avrebbe “colto di sorpresa” il Segretario Permanente del Gabinetto, Richard Heaton, per fargli domande riguardanti il Succession to the Crown Act. A preoccuparlo erano diverse questioni: se il primogenito del principe William fosse stato una bambina (ricordiamo che il principe George non era ancora nato all’epoca delle discussioni sulla modifica e dell’approvazione: quest’ultima, infatti, è avvenuta nell’aprile 2013, mentre il primogenito di William e Kate è nato nel luglio successivo) e un giorno fosse diventata la Regina d’Inghilterra, avrebbe mantenuto il nome del Casato, cioè Windsor, oppure avrebbe preso il nome del marito? Sembra che Carlo abbia persino fatto un esempio, ha spiegato il magazine Hello, chiedendo se un’eventuale futura sovrana avrebbe cambiato il nome da “House of Windsor” a un più ordinario “House of Smith”.

Mountbatten-Windsor

I timori di Carlo sul cognome del Casato non avrebbero ragion d’essere per un motivo storico e di buonsenso. Già la regina Elisabetta, infatti, si trovò in una situazione del genere, seppure con le dovute distinzioni e la risolse in modo diretto e pragmatico. Il principe Filippo, infatti, avrebbe voluto dare alla famiglia anche il suo nome, ovvero Mountbatten. Durante una discussione, riportata dalla Bbc, avrebbe detto: “Sono l'unico uomo del Paese a cui non è permesso dare il suo nome ai suoi figli. Non sono che una dannata ameba”. Così, nel 1960, Elisabetta decise, attraverso il Privy Council, che i suoi diretti discendenti avrebbero portato il cognome Mountbatten-Windsor.

Sposare un cattolico?

Carlo si domandava anche cosa sarebbe accaduto se l’ipotetica primogenita di William avesse sposato un cattolico, quali sarebbero state le ripercussioni sulla Chiesa d’Inghilterra. Inoltre sarebbe stato contrariato perché il Parlamento non avrebbe consultato il principe William sulla questione della riforma. Heaton, seppur infastidito e sfinito dalle continue domande, avrebbe cercato di placare tutti i dubbi dell’allora erede al trono. Al contrario Carlo accettò di buon grado un altro cambiamento relativo all’equilibrio di poteri nella royal family. Un’evoluzione altrettanto innovativa voluta, però, dalla regina Elisabetta.

La royal family secondo Giorgio V

Il 30 novembre 1917 il nonno di Elisabetta II, Giorgio V, aveva decretato attraverso le lettere patenti (provvedimenti con valore di legge emanati esclusivamente dal sovrano) che i titoli di principe e principessa e il trattamento di altezza reale fossero concessi a tutti i figli del sovrano regnante (sia maschi, sia femmine), a tutti i figli dei figli maschi del sovrano e al figlio (maschio) maggiore del figlio (maschio) maggiore del principe di Galles. La scelta del Re, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale l’11 dicembre 1917, aveva lo scopo di definire con esattezza i confini, chiamiamoli così, della famiglia reale britannica, di limitare il numero di reali e i relativi privilegi e di stabilire con esattezza i ruoli all’interno dell’istituzione. L’ascesa al trono di Elisabetta II, nel 1952, avvenne proprio sulla base di tutte queste regole. Nel 1936 Edoardo VIII abdicò, consentendo a Giorgio VI, padre della defunta sovrana, di diventare Re. In questo modo Elisabetta, da membro del ramo cadetto dei Windsor, divenne erede al trono d’Inghilterra. I suoi genitori, inoltre, non ebbero figli maschi e ciò le consentì di ereditare la Corona.

Il cambiamento voluto da Elisabetta II

Il 31 dicembre 2012, ha ricordato il Time, la regina Elisabetta fece una piccola ma fondamentale modifica ai provvedimenti di Giorgio V attraverso lo stesso sistema legislativo da lui usato, ovvero la lettera patente. La defunta Maestà decise di estendere il diritto al titolo di principe e al trattamento di altezza reale anche alla principessa Charlotte (nata nel 2015) e al principe Louis (nato nel 2018), figli del principe William e di Kate Middleton (titoli e trattamento erano già garantiti al primogenito della coppia, il principe George, in base alle regole istituite da Giorgio V nel 1917). Ciò significa che Charlotte e Louis sono principi e altezze reali dalla nascita. Inoltre, grazie al Succession to the Crown Act del 2013 la principessa Charlotte rimane terza in linea di successione e non può essere “sorpassata” dal piccolo Louis. I figli di Harry e Meghan, Archie (nato nel 2019) e Lilibet Diana (nata nel 2021) rimasero esclusi da queste nuove disposizioni, in quanto discendenti di un ramo cadetto. Le cose cambiarono con la morte di Elisabetta e l’ascesa al trono di Carlo: i piccoli Sussex divennero i nipoti del Re in carica così, in base alle regole del 1917, acquisirono il diritto al titolo di principi e al trattamento di altezze reali.

Una famiglia maschilista?

Le perplessità di Carlo III riguardanti il Succession to the Crown Act e il presunto scarso “entusiasmo” della regina Elisabetta nei confronti della riforma non devono stupire, né far pensare che la royal family sia addirittura maschilista. La questione va considerata da un altro punto di vista: la successione al trono è regolata da norme intrise di tradizioni secolari. È possibile cambiarle, naturalmente, ma occorre tempo, perché su quelle stesse leggi e grazie a esse la Corona è riuscita a sopravvivere. Ora alcuni di questi principi sono obsoleti, altri da sempre ingiusti (una donna non ha certo minori capacità politiche di un uomo ed Elisabetta I ne è un esempio lampante). Tuttavia l’idea di modificare un sistema che per secoli ha garantito una certa stabilità spalanca le porte all’incertezza sul futuro, alla paura di scardinare l’intera istituzione.

Per questo molti reali, pur concordi sulla necessità del cambiamento, preferiscono procedere a piccoli passi. D’altra parte le famiglie reali non possono ignorare che norme e consuetudini limitanti rischiano di rendere impopolare l’istituzione.

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