Decine di accessi. Anzi centinaia. "Si, centinaia di incursioni sui miei conti, su quelli dei miei familiari, e perfino su quelli dei clienti dello studio di commercialisti di cui ero socio" Alberto Di Rubba, tesoriere della Lega, annuncia al Giornale: "Sono una vittima del sistema Striano e al suo processo, se si farà, mi costituirò parte civile, perché con questa pesca a strascico fra le mie movimentazioni bancarie, ha costruito un dossier velenoso contro di me che poi è diventato una serie infinita di articoli di giornale e infine un'inchiesta della Procura di Milano".
E un processo che non è ancora arrivato alla fine. È però nel tempo l'accusa ha perso pezzi: i pm sostenevano che Di Rubba, nelle vesti di presidente della Lombardia Film Commission, avesse orchestrato l'acquisto a prezzi gonfiati di un capannone a Cormano, nell'hinterland milanese, sopravvalutandolo e ricavando così una robusta provvista per il partito. Uno schema collaudato e che qui però sembra andato in testa coda.
"Avevo valutato il capannone 800 mila euro, la Procura di Milano sosteneva che valesse molto meno, le perizie e le consulenze di parte hanno dimostrato che il prezzo era congruo. Ora siamo, dopo l'annullamento da parte della Cassazione della precedente condanna, all'appello bis. Ma intanto sono stato assolto perché il fatto non sussiste, nel secondo filone del procedimento, dall'accusa di false fatturazioni per 178 mila euro".
Insomma, è caduta la contestazione più insidiosa, la fattura non era una copertura di operazioni oblique. Resta il peculato?
"La verità emergerà certamente. Ne sono stato sempre convinto anche nei momenti più difficili".
Tutto nasce dalle segnalazioni dalle Sos, segnalazioni di operazioni sospette, sui suoi conti e su quelli della Lega del luogotenente Pasquale Striano che lavorava alla Direzione nazionale antimafia.
"Tutto comincia con l'inchiesta di Genova".
Quella per truffa sulla Lega?
"Si, sui 49 milioni della Lega. Non trovano nulla, ma Striano comincia a entrare e uscire dai miei conti e da quelli di altri dirigenti e funzionari della Lega".
Perché i suoi conti?
"Io all'epoca ero il vice tesoriere del partito e dunque sono entrato automaticamente nel mirino".
Siamo nel 2017?
"Si, nel 2017. Lui insiste e alla fine qualcosa salta fuori".
Che cosa?
"Vede che due clienti dello studio di cui sono socio tornano anche nella vicenda del capannone della Lombardia Film Commission. E comincia a seminare sospetti: come mai quella coincidenza? Sospetta per definizione".
Quindi che succede?
"I giornalisti suoi amici, Giovanni Tizian e Stefano Vergine, confezionano un primo articolo poi arrivano un secondo e un terzo pezzo, infine ho perso i conteggi. L'Espresso, il Domani, Il Fatto, non so nemmeno quanti pezzi sono stati pubblicati".
Insomma, la notizia fabbrica l'inchiesta?
"Si, il meccanismo è quello. Prima gli accessi, lo scandaglio a tappeto, perfino sui fornitori della Lega, poi i giornali, infine la Procura di Milano. Una catena di montaggio che ora finalmente è evidente. Ma all'inizio non riuscivo a capire cosa fosse successo, se non che mi erano piovute addosso accuse pesanti e incomprensibili".
C'è stato un processo.
"Con due filoni. Ma spero di provare al più presto la mia correttezza. E chiedo che si accerti la gravissima violazione che ho subito nella mia vita privata".