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Irpef, il vero castigo del ceto medio

Secondo Itinerari Previdenziali il 93% grava su chi guadagna più di 20mila euro

Irpef, il vero castigo del ceto medio
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«Non è corretto descrivere l'Italia come un Paese oppresso dalle tasse, perché i veri oppressi sono pochi: meno del 20% della popolazione mentre una parte consistente non solo ne paga assai poche ma è anche totalmente a carico della collettività a partire dalla spesa sanitaria». Con questo commento Alberto Brambilla, presidente del Centro studi Itinerari previdenziali, ha presentato l'XI Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate, realizzato dal suo think tank insieme a Cida e che ha analizzato le dichiarazioni dei redditi 2022, quelle presentate l'anno scorso. I contribuenti su cui grava il carico fiscale e, di riflesso, anche il finanziamento del nostro sistema di protezione sociale, non è che uno sparuto 24,2%, meno di uno su quattro. Coloro che hanno redditi dai 29mila euro in su corrispondono il 75,6% di tutta l'Irpef.

In Italia 17 milioni di contribuenti, oltre il 40% del totale, dichiarano di guadagnare meno di 15mila euro l'anno e pagano solo l'1,3% dell'Irpef complessiva. Coloro che invece dichiarano redditi a partire dai 35mila euro sono 6,4 milioni, il 15,3% del totale, e pagano il 63,4% dell'imposta sul reddito della persona fisica. Dal report emerge così un Paese spaccato a metà nel quale oltre il 93% dell'Irpef è pagato dal 46,8% dei contribuenti, quelli che dichiarano almeno 20mila euro di reddito. Mentre il 53,2% dichiara redditi inferiori a questa soglia e versa il 6,3% dell'intera Irpef. In Italia solo il 5,5% dei contribuenti dichiara di guadagnare oltre i 55mila euro e paga il 41,7% delle imposte.

«Una grande parte di italiani - ha spiegato Brambilla - paga così poche imposte (o non ne paga affatto) da risultare totalmente a carico della collettività». È il ritratto di un Paese, ha proseguito, «con una forte redistribuzione principalmente a carico dei redditi sopra i 35mila euro lordi l'anno, che peraltro non beneficiano, se non marginalmente, di bonus, sgravi e agevolazioni, in assenza di controlli su una spesa assistenziale che cresce a tassi doppi rispetto a quella previdenziale». Nel 2022, infatti, era in vigore il taglio del cuneo del governo Draghi, inferiore a quello varato da Giorgia Meloni, mentre era ancora erogato il reddito di cittadinanza cui si sommavano i contributi per far fronte all'inflazione energetica.

Nell'Osservatorio si evidenzia come nel 2022 l'Italia abbia complessivamente destinato alla spesa per protezione sociale - pensioni, sanità e assistenza - 559,5 miliardi di euro, vale a dire oltre la metà di quella pubblica totale (il 51,65%).

Rispetto al 2012, «la spesa per il welfare, si legge nel rapporto, è aumentata di 127,5 miliardi strutturali (+29,4%): un aumento ascrivibile soprattutto al capitolo assistenza che sotto la spinta delle promesse di una politica in perenne campagna elettorale e gonfiata anche dall'inefficienza di una macchina organizzativa tuttora priva di un'anagrafe centrale delle prestazioni, è cresciuta del 126,3%, a fronte del solo 17% della spesa previdenziale». Occorre notare, conclude Itinerari previdenziali, come tra il 2021 e il 2022 la spesa assistenziale a carico della fiscalità generale è aumentata dell'8,9%, molto più del gettito.

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