Politica estera

Islam, soldi e promesse. Così l'eterno Sultano della Turchia profonda spiazza Europa e Usa

Erdogan forte nelle aree rurali. La corsa al voto dopo gli aumenti dei salari, il peso del blocco musulmano

Islam, soldi e promesse. Così l'eterno Sultano della Turchia profonda spiazza Europa e Usa

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Uno scrutinio da brivido che apre le porte ad un ballottaggio tanto rischioso quanto imprevedibile. Alla fine, smentendo tutti i sondaggi, ma anche dilapidando tutto il vantaggio della prima parte della serata quando era in testa di oltre nove punti, ha vinto ancora una volta l'eterno Recep Tayyp Erdogan con il 49,67 per cento dei voti. Un autentica mazzata per lo sfidante Kemal Kilicdaroglu fermo al 44,59% dopo esser stato per sicuro vincitore di una sfida destinata, nelle speranze dell'opposizione, ad archiviare il ventennale potere del Sultano. Invece si deciderà tutto il 28 maggio in una corsa all'ultimo voto che sicuramente non contribuirà ad alleviare né il clima di tensione né le proteste degli oppositori sconfitti.

Per tutta la serata di ieri la coalizione di sei partiti riunita da Kilicdaroglu ha continuato a confutare e contestare i risultati ufficiali attribuendo al proprio candidato percentuali superiori al 50 per cento. I primi dubbi erano sorti alle 18.30 quando il Consiglio Supremo Elettorale - in precedenza contrario alla divulgazione dei risultati prima delle 21 - aveva concesso la pubblicazione dei dati parziali. Il cambio di passo ha innescato i timori dell'opposizione convinta che il dietro-front nascondesse brutte sorprese. Ad amplificare la paura di un risultato sfavorevole s'è aggiunto il dato sull'affluenza. L'88,44 per cento, confermato dalle code ai seggi, faceva capire che il partito del Sultano era riuscito a mobilitare la Turchia profonda.

Una mossa indispensabile per confermare un Presidente che, nonostante crisi economica, inflazione alle stelle e corruzione dilagante, rappresenta per le masse musulmane l'unico e il solo «rais». Un «rais» pronto a governare nel nome del Corano e a bloccare il ritorno del laicismo kemalista rappresentato da Kilicdaroglu. Resta da chiedersi se la massiccia affluenza sia bastata da sola a ribaltare le previsioni dei sondaggi o sia servita invece, come sostiene l'opposizione, a garantire gli aggiustamenti necessari ad ottenere l'imprevisto risultato. Di certo alla vittoria di Erdogan contribuiscono gli aumenti degli stipendi dei dipendenti pubblici innalzati da 400 a 800 euro alla viglia del voto. Aumenti a cui s'aggiunge la promessa di un incremento fino a mille euro in caso di vittoria. L'opposizione convinta di esser stata truffata denuncia abusi simili a quelli registrati nelle passate competizioni elettorali. Nel 2017, durante il voto sul presidenzialismo passato con un risicato 51% i giudici fecero convalidare i voti usciti da urne prive di sigilli conteggiando schede non timbrate. Nel 2019, quando il candidato dell'Akp perse l'elezione a sindaco di Istanbul, venne imposta la ripetizione del voto.

Una mossa trasformatasi in beffa visto che l'opposizione rivinse con margini ancora maggiore. Ma la disillusione non riguarda solo l'opposizione. Il voto turco rappresenta un'autentica beffa anche per Ue, Usa e Nato convinte, fino a ieri, di potersi liberare di un leader ingombrante e ambiguo. L' Europa dovrà, continuare a fronteggiare il ricatto dei migranti. Stati Uniti e Nato continueranno, invece, a vedersela con un Erdogan pronto a bloccare l'adesione della Svezia all'Alleanza Atlantica e a confrontarsi con Vladimir Putin.

Insomma alla momentanea vittoria del «rais» bisogna aggiungere la soddisfazione di una Russia convinta che il Sultano continuerà a farsi beffa delle sanzioni rivendendone gas e petrolio e garantendole una situazione di stallo strategico sul cruciale scacchiere del Mar Nero.

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