
Un'altra, l'ennesima, giornata convulsa a caccia di una tregua a Gaza che non arriva ancora, nonostante gli sforzi dell'Amministrazione Trump. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accettato «in via di principio» il piano dell'inviato americano Steve Witkoff per una tregua di 60 giorni e il rilascio in due fasi di 10 ostaggi vivi e 18 defunti (sui 58 ancora a Gaza, di cui 20 si presume ancora in vita). I primi 5 rapiti sarebbero liberati il primo giorno, altri 5 dopo una settimana. Ma perché la trattativa vada in porto serve il via libera di Hamas. E il movimento islamista, che pure nei giorni scorsi aveva annunciato il suo assenso al «piano Witkoff», in serata ha fatto sapere tramite un suo portavoce all'Afp che la «nuova» bozza «non soddisfa», lasciando intendere che sono state apportare modifiche non tollerabili. Già in giornata, erano emersi i primi dubbi degli ex padroni di Gaza, che hanno lasciato trapelare la loro «delusione», pur sostenendo di voler esaminare «con senso di responsabilità» l'ultima proposta.
Secondo gli estremisti islamici, la nuova bozza sarebbe sbilanciata a favore di Israele. Nonostante i 60 giorni di tregua previsti, nonostante la garanzia di restituzione dei corpi di 180 palestinesi, la scarcerazione di 125 ergastolani palestinesi e di 1.111 abitanti di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre, il piano lascia al governo Netanyahu la possibilità di tornare alle armi se durante il cessate il fuoco temporaneo non si trovasse l'intesa sulla fine della guerra, che è invece il vero obiettivo di Hamas. La ragione l'ha spiegata proprio il premier israeliano: «Non ci fidiamo delle promesse di Hamas di liberare gli ultimi prigionieri e continueremo la guerra finché Hamas non sarà eliminato e non lasceremo la Striscia di Gaza finché tutti i prigionieri saranno restituiti», ha detto in un incontro con le famiglie degli ostaggi.
È su questo punto che l'intesa sembra essersi arenata. Ma non solo. Hamas chiederebbe anche il ritiro delle Forze Armate israeliane (Idf) alle posizioni in cui si trovavano alla fine dell'ultima tregua di marzo e che gli aiuti vengano distribuiti secondo «gli standard umanitari internazionali». Richieste che finora Israele ha considerato irricevibili. Prima del via libera di Netanyahu, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, del Partito Sionista Religioso, aveva annunciato di opporsi a un cessate il fuoco graduale, definito «un'ancora di salvezza per Hamas». Secondo Smotrich, il gruppo estremista «è in difficoltà», anche grazie al nuovo sistema di distribuzione degli aiuti, «che isola i terroristi dai residenti». L'invasione di Gaza, che è nei piani del governo Netanyahu e soprattutto dell'estrema destra, è ormai una promessa per Smotrich: «Non abbandoneremo le zone che abbiamo conquistato».
La guerra intanto prosegue a Gaza. I morti ieri sono stati oltre 64 dall'alba, di cui 19 nel campo profughi di Bureij, nel centro della Striscia, e altri 22 in un raid su Gaza. L'Idf ha anche evacuato, «con la forza» secondo fonti locali, medici e pazienti dell'ospedale Al-Awda, unica struttura sanitaria attiva nel Nord. Quanto agli aiuti umanitari, la Gaza Humanitarian Foundation ha fatto sapere di avere aperto il terzo centro e di aver distribuito 1.8 milioni di pasti. Nel parlare delle sofferenze «insopportabili» dei gazawi, ieri l'ambasciatore palestinese all'Onu Riyad Mansour è scoppiato in lacrime di fronte all'Assemblea generale: «Scusatemi, ma ho dei nipoti. Vedere ciò che succede senza fare niente è intollerabile per qualunque essere umano».
La tensione resta altissima anche in Cisgiordania, dopo che il governo Netanyahu ha approvato nei
giorni scorsi la creazione di altri 22 insediamenti israeliani. A Tulkarem, nel Nord-Ovest, i soldati dell'Idf hanno issato una bandiera sulla cupola della moschea di Abu Bakr al-Siddiq, nel campo profughi di Nur al-Shams.