Nel 2016 il nostro Paese ha dato la cittadinanza italiana a 200 mila stranieri (per la maggior parte provenienti da Marocco e Albania). Siamo nella Ue lo Stato che - su questo fronte - ha fatto meglio (o peggio, dipende dai punti di vista). In effetti avere il record europeo dei «nuovi riconoscimenti» è uno di quei primati che si prestano a una doppia lettura: i sostenitori dello ius soli esultano; i suoi detrattori protestano. In nome dell'ideologia, che è sempre una pessima consigliera. Per ius soli («diritto del suolo») è l'espressione giuridica che indica «l'acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori». L'Italia (a differenza di altre nazioni europee come Francia, Germania, Irlanda e Regno Unito) non riconosce ufficialmente tale status, anche se l'ultimo rapporto Eurostat dimostra come - di fatto - a questo diritto venga dato corso sebbene ancora al di fuori di una cornice giuridicamente codificata. Cifre e consuetudine spingono i nemici dello ius soli a dire: «Vedete? Approvarlo in Italia è inutile, visto che siamo comunque il Paese che in Europa concede più cittadinanze ai migranti». Ma questa è una considerazione cui si può facilmente ribattere obiettando come - in diritto - consuetudine e legge abbiano pesi giuridici ben diversi. Con tutto ciò che ne deriva in termini di effetti sociali ed economici. Nel 2016 quasi un milione di persone ha acquisito la cittadinanza di uno degli Stati membri dell'Unione europea e che al primo posto della classifica c'è proprio l'Italia. Per quanto riguarda i «nuovi italiani», si tratta di cittadini che arrivano prevalentemente da Marocco, Albania e India. L'ufficio statistico della Ue rileva che nel 2016, circa 995 mila persone hanno acquisito la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea, in aumento rispetto al 2015 (erano stati 841.000) e al 2014 (889 000). La maggior parte dei neo-europei erano cittadini di paesi terzi o apolidi.
C'è chi sostiene che l'ondata global nel nostro Paese porti a «un diffuso innalzamento culturale». Ma le cifre Eurostat sembrano indicare l'esatto contrario: meno di una persona su sei in Italia, tra chi ha un'età da lavoro, è laureato. Un dato che ci rende penultimi in Europa; peggio di noi solo la Romania.
All'Italia va inoltre il primato negativo per uomini laureati, con il 13,7% nella fascia fino ai 64 anni. Va un po' meglio se consideriamo solo i 25-34enni, con il 26,4% di laureati (38,8% in Ue). Studiare tutti di più, non sarebbe male.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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