
Villeggiatura, sostantivo scomparso nel vocabolario contemporaneo, roba da archivi dell'intelligenza umana, incomprensibile per chi ha smarrito il senso della vacanza, nel senso di vacatio, assenza di libertà di decidere come e quando. C'erano anche una volta le giornate di canicola, Milano era alveare frenetico fino al giorno fatidico della partenza, di colpo sembrava più grande, valigie sul portapacchi dell'utilitaria, fuga per la libertà, alle spalle il deserto, improvviso, desolante, desolato, quartieri evacuati, periferie addormentate, dalle parti del Duomo, piccioni affamati e turisti smarriti nell'afa, Anto' fa caldo, signori si chiude. Al sud soffiava il favonio che non è il vento di ponente che suggerisce tepore ma sputava la sabbia del deserto e obbligava a chiudere le persiane, costringendoti a rinchiuderti in casa. Dominavano i ventagli, bastava uno sventolio per ridarci la frescura, piedi nelle bacinelle d'acqua con sbarra di ghiaccio inclusa, angurie e granite completavano l'impresa. Quando cominciava a fare caldo davvero si ansava da fermo, sudori continui e allora che fare? Via verso il luogo di refrigerio, la casa dei nonni in campagna, muri spessi e quella brezza serale che ci restituiva il piacere della vita libera, oppure il mare, massì bastava lo scorcio azzurro per respirare meglio, sabbia o roccia comunque benessere per il corpo, con le pinne, il fucile e gli occhiali, ci tuffiamo con la testa all'ingiù; o, ancora, la montagna, una bella e perfida vendetta, indossare un maglione pensando a quelli, in zoccoli e canotta, rimasti in città. Ecco, appunto, le città, deserte, le strade vuote (cantava Mina nei favolosi anni), l'esodo, questo l'altro sostantivo prima che qualche furbetto inserisse le vacanze intelligenti, al secolo la cosa più stupida da attuare, pensando di essere più astuti del vicino di casa. Arrivava, dunque, il momento della fuga, riguardando Il Sorpasso, meraviglioso film di Dino Risi, ci accorgiamo che Bruno Cortona-Vittorio Gassmann, attraversa Roma completamente vuota di tutto, tranne un pizzardone e i monumenti inamovibili, suonava il clacson della sua Lancia Aurelia B24 convertibile, sfrecciando senza ostacoli o intoppi di traffico, Bruno la chiama "il cimitero", passa per piazza di Spagna, va in piazza del Popolo, manco un'anima, un uomo porta a spasso i cani, Bruno vorrebbe telefonare ma tutti i bar della Balduina sono chiusi, la tavola calda di piazza Morosini gli abbassa la saracinesca in faccia, anche la sosta nella trattoria vicina a San Pietro finisce a male parole, tanto la titolare è in ferie, i romani "senesòannàti" a Fregene, Castelfusano, Ostia e affini, città eterna svuotata, esauriti i lidi, alla ricerca della pietra verde, dunque l'ombra che ritempra, la gazzosa bella fresca da trangugiare a canna ça va sans dire. E le città? Ventilatori in azione, copricapo con fazzoletto bagnato e con i quattro angoli annodati, braghe corte, canottiera, grattachecca o grattata di ghiaccio con tamarindo, orzata, sanguinella, non era un bel vedere ma un gran gusto, la sera a volte era peggiore del giorno, si sognava che la notte non finisse mai per via delle ore meno asfissianti. Negozi chiusi dovunque e comunque, un biglietto affisso alla saracinesca, scritta in stampatello "chiuso per ferie", senza data, così per far intendere a lasciare ogni speranza o voi che pensavate di entrare. Era l'inferno davvero, vagando alla ricerca di un bar, evitate le pizzerie causa forno a legna vivissima, rari i cinematografi con aria condizionata, un film qualunque però almeno un'ora o due provando l'ebrezza dei venti gradi e magari un approccio clandestino, rifugio d'amore e di frescura prima del ritorno alla fornace. Erano giorni strani, lontanissimi e impossibili da mettere a fuoco, come non mai questo termine è attuale, le città del nord, Torino e Milano, terre di immigrazione, pronte a trasformarsi in aree disabitate, silenziose, quasi irreali rispetto ai giorni del lavoro, della fabbrica, delle ciminiere nere di fumo, dei cancelli aperti all'alba verso la catena di montaggio, la schiscetta e il tramvai. Voglia di andare via, senza troppo pensare a come ma a quando, deflettori aperti, tendine parasole, asciugami bagnati alle fontanelle poi infilate nella fessura dei vetri dell'auto, ripari naturali, vera intelligenza umana. La tivvù ribadiva che quell'estate era tra le più calde di sempre, venne fuori l'aggettivo torrido che sta per secco e se c'è qualcosa che non è proprio secco è il caldo umido, sciroccoso e sciroccato che ti si aggrappa al corpo.
Dopo le ultime pagelle e gli esami di maturità, la grande corsa verso tutte le destinazioni possibili, un happy hour in coda sotto il sole ma con il godimento di lasciarsi alle spalle la gabbia con il canarino o la boccia di vetro con il pesciolino rosso, pacco dono per il portiere o il pensionato resistente alla calura. Bei tempi? Non saprei ma come diceva Totò: "Se continua con 'sto caldo, stiamo freschi".