Kiev-Washington, l'intesa sui minerali rimane in bilico: "Garanzie assenti"

"Accordo entro 24 ore". Ma mancano i requisiti di sicurezza chiesti dall'Ucraina

Kiev-Washington, l'intesa sui minerali rimane in bilico: "Garanzie assenti"
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La vicepremier ucraina Yulia Svyrydenko ha appreso mentre era in volo verso Washington che la firma sull'accordo per le terre rare era destinato a slittare. Ora si trova alla sede della sua ambasciata, incollata al telefono, in attesa di disposizioni da Kiev. Gli ostacoli dell'ultimo minuto riguardano, ufficialmente, la creazione di un fondo di investimento congiunto, che deve essere ratificato dal Parlamento ucraino. In realtà sarebbero rimaste fuori dall'intesa l'esonero di parte del rimborso agli Stati Uniti per l'assistenza militare e la mancanza di specifiche garanzie di sicurezza, condizioni che frenano Kiev, pressata dal segretario al Tesoro Scott Bessent, che intima: «Firmate o tornate a casa».

L'Ucraina prende tempo, e il premier Shmyhal spiega che il governo terrà oggi consultazioni con i capigruppo e la leadership della Verkhovna Rada per discutere i nuovi dettagli dell'accordo. «Sarà un'intesa di partnership assoluta - dichiara - e il fondo di investimento gestito e finanziato in modo paritario per un periodo di dieci anni». Nell'ombra lavorano i negoziatori.

Terre rare a parte, la miccia dei botta e risposta è stata accesa dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, convinto che la Russia deve «vincere» in Ucraina e consolidare le posizioni in Crimea e nei territori occupati. Peskov fa leva sul fatto che gli scenari sono completamente diversi rispetto al marzo 2022, poi smorza gli entusiasmi degli Usa «che vogliono un successo rapido nei negoziati, ma le cause di fondo del conflitto sono troppo complesse per essere risolte in un giorno». Il Segretario di Stato Usa Marco Rubio non è dello stesso avviso e tuona: «Siamo arrivati al punto in cui sono necessarie proposte concrete su come porre fine al conflitto da parte dei due Paesi. Senza progressi nelle trattative ci faremo da parte».

Mosca fa anche sapere che se dovesse saltare il banco, è pronta a una mobilitazione di massa come per la Seconda guerra mondiale. Le autorità russe reclutano ogni mese circa 40mila persone e sono in grado di mobilitare fino a 5 milioni di riservisti addestrati.

Tuttavia le possibilità di congelare la guerra esistono, e il rappresentante del Cremlino all'Onu, Vasily Nebenzia, riferisce che «Mosca è pronta ad avviare colloqui diretti con Kiev se il governo ucraino accetterà la proposta di una tregua tra l'8 e l'11 maggio». Gli risponde il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha: «Non bastano tre giorni, serve almeno un mese». Sulle intenzioni di Mosca appare scettico il comandante delle armate ucraine Oleksandr Syrskyi, poiché «i russi stanno aumentando l'intensità dei combattimenti». Le truppe di Valerji Gerasimov sono a un passo dallo sfondare nel Dnipropetrovsk. Vladimir Putin si sente nel giusto, ribadendo che «la Russia si trova a dover contrastare la distruttiva diffusione di neonazismo e russofobia», poi aggiunge: «I rapporti con l'Europa saranno ripristinati». Putin rivela anche che cittadini francesi combattono al fianco di Mosca e che ci sarebbero «parecchi soldati ucraini intrappolati nel Kursk».

Volodymyr Zelensky intanto denuncia gli attacchi martellanti. «Circa 400 droni sono stati lanciati dall'inizio della settimana».

Il presidente ucraino chiede a Usa e Europa di fare pressione su Mosca «per fermare il massacro e per una pace giusta senza regalare territori».

Nel frattempo il ceo della società statale Rosatom, Aleksei Likhachev, ha dichiarato che la Russia è pronta a discutere della presenza Usa nella centrale nucleare di Zaporizhzhia se verrà presa una decisione politica.

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