Che orrore la spartizione della Rai quando la fanno gli altri. A sinistra, specie i renziani che avevano occupato militarmente la tv di Stato, hanno scoperto che la maggioranza di governo si sceglie i vertici della Rai, magari pescando tra persone con idee vicine a quelle della maggioranza di governo. «Se Salvini e Di Maio pensano di occupare la Rai, che è degli italiani e non loro, noi siamo già qui, glielo impediremo» protesta il piddino siciliano Davide Faraone, già sottosegretario del governo Renzi, annunciando la battaglia del Pd per bloccare la nomina alla presidenza Rai di Marcello Foa, giornalista diventato una sorta di pericolo pubblico. Eppure il Pd conosce bene l'arte della lottizzazione Rai, avendola praticata a piene mani durante il biennio di Renzi a Palazzo Chigi. A partire dalla scelta di Antonio Campo Dall'Orto, già frequentatore della Leopolda e amico personale di Renzi, come direttore generale. Dall'Orto a sua volta ha riempito l'azienda pubblica di manager fidati (cacciando decine di dirigenti con un costo enorme) e giornalisti di provata fede renziana, dalla Bignardi a Massimo Coppola, quello della raccolta firme (ad insaputa dei firmatari, peraltro) contro Salvini su Rolling Stone. La presidenza di Monica Maggioni era stata così indipendente da uscire proprio da un suggerimento di Paolo Gentiloni, allora ministro degli Esteri, poi premier. Epurazione di giornalisti non allineati (Porro, Giannini), e parallelamente promozioni di dirigenti renziani, come Luca Mazzà, dimessosi da responsabile di Ballarò perché programma troppo anti-renziano e promosso a direttore del Tg3. E infine la scalata alla direzione generale di Mario Orfeo, in quella occasione sponsorizzato soprattutto da Maria Elena Boschi, ancora influente sulla assegnazione delle poltrone pubbliche. Per non parlare dei Renzi boys infilati nei consigli di amministrazione di tutte le altre partecipate italiane, diventate un feudo fiorentino.
Ma la mobilitazione contro le nomine della Rai grillo-leghista non si limita al centrosinistra, anche il sindacato nazionale dei giornalisti, la Fnsi, è in forte fibrillazione per la Rai finita nelle mani sbagliate. Per la federazione guidata da Raffale Lorusso (giornalista di Repubblica) e presieduta da Beppe Giulietti (ex parlamentare Ds e Italia Dei Valori), l'operazione in corso «non è soltanto quello di imporre il pensiero unico, ma anche di intimidire i giornalisti Rai», avendo Di Maio parlato di «parassiti e raccomandati», categoria che invece non è presente nell'organico della tv pubblica. Ex segretario della Fnsi è Roberto Natale, che poi è diventato portavoce di Laura Boldrini alla Camera. Finito quello, Natale ha provato ad entrare nel cda della Rai ma non ha avuto abbastanza voti. È rimasto in Usigrai (il sindacato interno) e Articolo 21, l'associazione molto attenta alle cose Rai, di cui Natale è fondatore insieme a Giulietti (Fnsi), molto orientata a sinistra (basta scorrere i nomi di chi ne ha fatto e ne fa parte, l'associazione ha un premio la cui giuria è presieduta da Tiziana Ferrario, la giornalista che ha portato in tribunale Augusto Minzolini perché l'aveva spostata dalla conduzione del Tg1). Naturalmente anche quelli di Articolo21 sono scandalizzati dalla lottizzazione della Rai e dallo spauracchio del sovranista Foa («Una persona antagonista dei principi basilari dello stato repubblicano») tanto da lanciare una raccolta firme per chiedere a Mattarella di mettere il veto su Foa.
Il quale assicura di non essere un pericolo per la democrazia italiana: «Mi descrivono come Belzebù, evidentemente non mi conoscono. Sono il tipo più pacioso del mondo, un giornalista corretto, non sono abituato a offendere nessuno. Tantomeno le istituzioni. Si sta facendo un gran baccano. Ma non ci saranno problemi».
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