di Andrea Cuomo
N essuna morte è stata più annunciata di questa. Nessuna più dolorosa.
Charlie Gard è morto ieri, di venerdì. È morto dopo undici mesi e ventiquattro giorni, un anno meno una settimana. Lo ha stroncato il destino, che si è manifestato all'età di otto settimane sotto forma di un male dal nome cattivo, sindrome della deplezione del dna mitocondriale, del quale si conoscono solo sedici casi. Un male che ne ha rapidamente annichilito i piccoli muscoli e gli organi interni, il cuore, i polmoni, il cervello, e che lo ha reso dipendente da una macchina che lo faceva respirare. Lo ha stroncato il destino e lo hanno fatto anche un po' gli uomini di buona volontà, che non hanno trovato risposte né scientifiche né etiche al suo urlo senza voce.
«Il nostro piccolo bel ragazzo se n'è andato. Siamo orgogliosi di te, Charlie». L'annuncio lo hanno dato ieri pomeriggio i due genitori, Connie Yates e Chris Gard, che hanno combattuto con le unghie e coi denti perché al figlio fosse concessa la più misera delle speranze. Lo hanno fatto fino alla scorsa settimana, quando anche il medico americano Michio Hirano, convinto fino a qualche giorno prima di poter dare qualche chance di miglioramento a Charlie (aveva detto dal 10 al 50% ma alzi la mano chi ci aveva creduto fino in fondo) grazie a un protocollo sperimentale messo a punto anche con la collaborazione dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, si è dovuto arrendere all'evidenza. I danni a livello muscolare riportati dal bambino per l'avanzata militaresca del male, erano irreparabili.
I genitori si sono arresi ma continuano a pensare e continueranno a lungo a farlo che se la terapia sperimentale fosse stata autorizzata prima non si sarebbe arrivati a quel punto. E invece mesi e mesi sono andati sprecati perché i medici del Great Ormond Street Hospital, che aveva in cura il bambino, avevano deciso che si trattava di accanimento terapeutico e avevano chiesto ai tribunali inglesi il permesso di spegnere le macchine che tenevano in vita Charlie. Un permesso accordato una prima volta e poi confermato dall'Alta Corte di Londra, dopo un primo ricorso della famiglia, e poi obliterato ancora dal pilatesco parere del Tribunale europeo per i diritti dell'uomo, che non aveva riconosciuto alcuna violazione. Una condanna infine rinviata, e siamo alle ultime settimane, dopo la mobilitazione dell'opinione pubblica dapprima inglese e poi mondiale provocata dalla lotta e dai videomessaggi di Connie e Chris, che aveva spinto anche Papa Francesco e Donald Trump a intervenire, e quest'ultimo a concedere addirittura un passaporto americano speciale a Charlie e ai genitori, all'insegna dell'«aiutiamoli a casa nostra».
Ieri la fine, e a questo punto meglio presto, meglio subito. Charlie è morto in un hospice tenuto segreto per garantire un po' di privacy ai genitori. Quella privacy in nome della quale i Gard avevano chiesto almeno di far trascorrere a Charlie le ultime ore a casa e che i medici del Gosh hanno negato adducendo le difficoltà logistiche che avrebbero trasformato il trasloco in un drammatico circo. Da qui il compromesso delle ultime ore: Charlie sarebbe morto in una struttura specializzata dove è stato portato in gran segreto. E così le centinaia di soldati del Charlie's Army, dell'esercito di Charlie che hanno sostenuto i Gard nella battaglia, non hanno potuto piangere la morte del loro piccolo idolo.
Charlie è morto. Ci sarà tempo per capire i buoni e i cattivi di questa storia.
Ci sarà tempo per capire se la sua ignara eredità sarà un mare di astio oppure se i medici, la giustizia, le famiglie impareranno a comportarsi diversamente in casi come quelli, pochi per fortuna ma non abbastanza da non doversi porre il problema del perché la legge del cuore e la legge della testa così spesso portano in luoghi lontani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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