L'addio di Parigi alla gioia di vivere I barbari offendono le vie della civiltà

Una città sotto il tiro di diverse violenze. E la «libertè» vola via

L'addio di Parigi alla gioia di vivere I barbari offendono le vie della civiltà

S ulle piazze e per le vie di Parigi, baciate un tempo da quella gioia di vivere, da quel senso di libertà che questa città ha sempre suscitato più di tutte le altre al mondo, si incrociano oggi cupe violenze che hanno diverse matrici e che si esprimono in una cieca volontà di distruzione. Casseur i black bloc, ma i francesi non amano le denominazioni anglosassoni- a margine di cortei di lavoratori in lotta contro una Loi Travail ritenuta ingiusta, terroristi islamici sempre più assurdamente feroci, tifosi di calcio che assomigliano sempre più a squadracce paramilitari , tutto si incontra, rimanendo profondamente diverso, nel ventre di questa metropoli già così ferita.

Per noi che amiamo Parigi , è spaventoso vederne certe immagini. Personalmente, ero lì nei giorni degli attentati sanguinosi dello scorso novembre, e ho già pagato un grosso tributo di sofferenza e di sgomento di fronte a un cambiamento così repentino nella vita della città. Città di movimento, dove scorrono viali ampi come fiumi e un fiume trafficato come un viale, città dove i caffè e i ristoranti io prediligo Le Procope, già amato da Voltaire- sono un pezzo di storia della cultura e del costume, città di musei, di cattedrali, di arte, di letteratura. Dove le librerie sono ancora luoghi di incontro, dove i libri muovono ancora idee e sentimenti. Temo che certi tifosi e certi casseur ignorino tutto della storia e del fascino antico delle vie che calpestano, dei palazzi che offendono. I terroristi , poi, sono ideologicamente nemici della gioia di vivere, della libertà dei costumi, e Parigi non può che essere il loro bersaglio preferito. Ma questa città è stata anche quella della Rivoluzione, della ghigliottina, del sangue sulle barricate, della protesta, della ribellione sociale e esistenziale.

Victor Hugo ha cantato anche questa Parigi insanguinata nella immensa vicenda dei Miserabili, Honoré de Balzac ce ne ha mostrato i retroterra torbidi di affarismo e scalata sociale, Emile Zola ha dato voce al suo proletariato, con le sue virtù, le sue disgrazie e il suo degrado. Un poeta, Charles Baudelaire, è quello che ne ha descritto meglio il segreto dell'essenza in divenire: «Già la vecchia Parigi non è più;/- di una città l'aspetto, ahimè, si muta/ più presto di un mortale cuore...». Parigi è stata in questi sommi scrittori il vero palcoscenico del mondo. Dove si incontravano e scontravano luce e buio, bene e male, fede e disperazione, gioia e angoscia. Anche nel Novecento Parigi ha a lungo mantenuto questo ruolo di capitale letteraria del mondo. Ancora negli anni Sessanta, un sospiro di Sartre al Café de Flore scuoteva il pubblico colto di mezzo mondo. Boris Vian girava per i locali notturni con una tromba e una pistola, ribelle irriducibile. E in fondo anche oggi i romanzi che, al di là della loro qualità linguistica, mobilitano il pensiero e suscitano polemiche necessarie e fertili vengono da Parigi: basti pensare all'eco che ha avuto un libro come Sottomissione di Michel Houellebecq. Sono stato la prima volta a Parigi nel 1962, che ero un ragazzino. Ringrazio il cielo che mi ha fatto incontrare questa città quando era ancora simile a un sogno.

L'incubo di oggi passerà. Ne sono sicuro. Parigi ha visto tanta storia passare. E lei è rimasta lì, e come scrive Apollinaire: «Sotto Pont Mirabeau la Senna va/ e i nostri amori potrò mai scordarlo/ c'era sempre la gioia dopo gli affanni...».

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