L'angelo di Nassiriya ucciso dall'uranio

Aveva riconosciuto e ricomposto i resti dei 19 caduti nell'attentato contro la base italiana in Irak

L'angelo di Nassiriya ucciso dall'uranio

Un altro militare italiano è morto a soli 43 anni dopo che l'uranio impoverito, con cui vengono realizzati i proiettili perforanti usati nelle operazioni militari internazionali, lo ha fatto ammalare di cancro. Gianluca Danise, primo maresciallo incursore dell'Aeronautica e veterano di tante missioni all'estero, dal Kosovo all'Iraq, dall'Eritrea all'Afghanistan, si è spento nell'ospedale di Borgo Trento a Verona dopo aver combattuto per cinque anni contro la malattia. Era un uomo tutto d'un pezzo, orgoglioso di indossare la divisa e di servire l'Italia, e molti lo ricordano non solo per aver condiviso rischi e sacrifici sui fronti caldi del mondo, ma anche per esser stato il soldato che, sotto il rovente sole iracheno, aveva ricomposto i corpi dei 19 commilitoni morti nel 2003 a Nassiriya. «Qualcuno lo doveva fare - raccontava . Li identificai uno per uno, assieme al medico legale. Costruii la fiamma ossidrica per sigillare le casse di zinco e dopo 36 ore di lavoro avvolsi le bare nel tricolore». Nel 2010, quando gli annunciarono che aveva un tumore, era un uomo in perfetta forma fisica e pesava 87 chili ma, dopo averne persi 30 in poco tempo, non aveva rinunciato a lottare. Non voleva lasciare la moglie Stefania e la piccola Marjan, la gioia della sua vita nata appena un anno fa. «Si godeva i primi giorni della sua principessa ha ricordato Domenico Leggiero, coordinatore dell'Osservatorio militare e riusciva anche a pensare al futuro esorcizzando il presente». Secondo le stime dell'Osservatorio, l'uranio impoverito ha già ucciso 321 militari italiani e ne ha fatti ammalare più di tremila. «Gianluca ha raccontato Leggiero non ha mai smesso di credere nei valori di un soldato pur capendo che sono gli stessi dei comandanti che avrebbero dovuto tutelarlo». Già, uranio impoverito e cancro: sembrano ancora parole tabù per le Forze armate italiane, che restano ingessate su questo tema delicato rispetto a molti altri Paesi. Infatti, a differenza di altri soldati stranieri in missione, quelli italiani hanno sempre operato senza precauzioni. E Gianluca lo aveva già spiegato in due recenti interviste all'Arena e all'Huffington Post, ipotizzando di aver contratto la malattia incurabile in Kosovo.

«Vedevamo gli americani e ci chiedevamo perché girassero bardati a quel modo raccontava . Arrivavano con tute gialle, i guanti, gli scafandri. Avevano attrezzature per maneggiare materiali di cui noi non disponevamo. Ogni tanto ci domandavamo: ma sono sciocchi loro a girare come marziani o gli sciocchi siamo noi?». Dopo il rientro dalla seconda missione in Afghanistan, quando gli diagnosticarono il cancro, ha compreso chi era il vero sciocco. E ha ripreso a combattere, questa volta con le Forze armate del suo Paese. «Se non si alzava il telefono, se non si scriveva, se non si mandavano raccomandate, nessuno ti ascoltava. Ho dovuto battere i pugni sul tavolo», ricordava Danise. «Umiliato e offeso dalle istituzioni ha affermato Leggiero Gianluca non è riuscito neppure a ottenere il diritto alla sua pensione giustamente maturata». Ma il veterano degli incursori, seppure deluso e amareggiato, non è mai venuto meno al suo amore per l'Italia, tanto da aver espresso come ultima volontà di essere sepolto in divisa e avvolto nel tricolore. Ma la sua dedizione alla patria spesso non è stata ricambiata. «Siamo dei servitori dello Stato e non chiediamo l'impossibile diceva solo un anno fa Danise .

Se torniamo a casa da una missione e scopriamo di esserci ammalati, abbiamo bisogno di sostegno, morale ed economico, per noi e per le nostre famiglie. Non ci lascino soli a combattere con la burocrazia. Perché è quella che ci ammazza».

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