Che le elezioni di midterm siano l'occasione per una prova di forza da parte di Palazzo Chigi non è propriamente la regola. Anzi, solitamente l'occasione è buona per tentare la spallata al governo o quantomeno per cercare di rilanciare l'azione dell'opposizione in vista delle successive elezioni politiche. Ne sa qualcosa Massimo D'Alema, che proprio dopo le Regionali del 2000 fu costretto a dimettersi da presidente del Consiglio. E pure Silvio Berlusconi, che con quella tornata amministrativa rimise in campo l'alleanza con la Lega e diede il via alla rimonta che lo portò alla vittoria del 2001.
Completamente diverso, però, è lo scenario che si profila oggi. Ancora una volta, infatti, le elezioni sembrano destinate a diventare il puntello sul quale Matteo Renzi stabilizzerà un governo che in queste ultime settimane un po' va arrancando. Lo stesso schema, insomma, delle elezioni europee di undici mesi fa, visto che il 40,08% incassato dal Pd lo scorso 25 maggio ha di fatto blindato l'esecutivo, azzittito la minoranza dem e sterilizzato l'opposizione. È stato per il premier l'equivalente di quell'investitura popolare che non aveva ancora avuto con il suo rocambolesco arrivo a Palazzo Chigi. Ecco, un anno dopo si va ripetendo un copione identico. Con la tornata amministrativa del 31 maggio che nella testa di Renzi è destinata a rinforzare l'esecutivo.
D'altra parte, di fronti aperti il premier ne ha più d'uno. Da quello economico ieri, per dire, è stato Il Sole 24 Ore a bollare il tesoretto come «un'arma di distrazione di massa» mentre la Banca d'Italia ha fatto sapere che il debito pubblico a febbraio è aumentato di 3,3 miliardi rispetto a gennaio arrivando a un livello record. Le cose, poi, non vanno benissimo nemmeno sul fronte riforme, visto che la fronda interna continua a minacciare di non votare l'Italicum a meno che non venga modificato. Alla fine i numeri Renzi ce li avrà, ma solo per il timore che hanno deputati e senatori di eventuali elezioni anticipate (neanche la metà di loro, infatti, tornerebbe in Parlamento). Ecco, dunque, l'arma delle elezioni regionali.
Facendosi forte di un'opposizione divisa e litigiosa ai limiti dell'inconsistenza il leader del Pd punta a confermare il 5-2 dal quale si parte (vincendo in Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Puglia e lasciando al centrodestra Campania e Veneto). Ma non è escluso che possa fare il colpaccio, portare a casa un 6-1 e blindare il governo almeno fino al 2016.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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