L'appunto

L'azzeccagarbugli e la resa dei conti nella maggioranza

Si è ufficialmente aperto il mese degli azzeccagarbugli. Con la politica pronta a scannarsi sul ddl Boschi

L'azzeccagarbugli e la resa dei conti nella maggioranza

Si è ufficialmente aperto il mese degli azzeccagarbugli. Con la politica pronta a scannarsi sul ddl Boschi, quello che cancella il bicameralismo perfetto e il Senato elettivo. Sulle barricate non c'è solo l'opposizione ma pure un pezzo della maggioranza con la fronda dem che minaccia di votare contro il suo segretario che, per inciso, è pure premier. Uno scontro durissimo, su un tema che evidentemente deve essere davvero decisivo se la sinistra del Pd arriva a contemplare la possibilità di aprire una crisi di governo, cosa che non aveva fatto neanche quando ci fu da votare il tanto vituperato Jobs Act. Sul quale alla fine si allineò.

Oggi, invece, a parole sembra non ci sia alcun margine di trattativa. Con al centro dello scontro l'ormai mitico articolo 2. Cosa davvero preveda lo sanno in pochi e i fortunati sono comunque addetti ai lavori. Così come per l'articolo 1, anch'esso – spiega chi maneggia la materia – determinante per le sorti della democrazia. La politica, insomma, si sta scontrando su due articoli e sul fatto che il confronto sul ddl Boschi in commissione Affari costituzionali potrebbe saltare per andare a discutere il provvedimento direttamente nell'aula del Senato. Anche questo, un argomento di dibattito da cultori della materia.

Eppure, dietro questa coltre di tecnicismi, c'è un braccio di ferro tutto politico. Con la minoranza Pd tentata dall'andare al redde rationem con Matteo Renzi, al quale non viene perdonata una linea non di sinistra e la rottamazione della classe dirigente dem. Quella vecchia (Massimo D'Alema, Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi e via dicendo) e quella nuova (Enrico Letta). Una partita che s'incrocia con l'implosione di Ncd, dove più che le questioni politiche sono gli interessi personali a dettare insoddisfazioni e lamentele. Sullo sfondo l'opposizione. Con la Lega sulle barricate, tra gli affondi di Matteo Salvini e un Roberto Calderoli che minaccia di presentare «milioni di emendamenti». Più defilata Forza Italia, nonostante Paolo Romani assicuri che gli azzurri sono «compatti nel fare opposizione». E anche il M5S preferisce le retrovie, convinto – forse non a torto – che alzare le barricate sulle riforme istituzionali non sia un tema che scalda il cuore dell'elettorato. Un scontro che con ogni probabilità finirà in un enorme nulla di fatto perché la verità è che una crisi di governo non conviene a nessuno. Soprattutto a senatori che quasi certamente non saranno ricandidati.

Molto meglio andare avanti fino al 2018.

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