Lavoro, l'Ue smonta la ricetta Landini

Da Bruxelles nuove regole sui salari mentre la Cgil insiste su referendum e Jobs Act

Lavoro, l'Ue smonta la ricetta Landini
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Mentre la Cgil rilancia il vecchio armamentario ideologico del passato con il referendum sul Jobs Act, auspicando un ritorno all'articolo 18 e agitando lo spettro della precarietà, il mercato del lavoro italiano sta scrivendo una storia del tutto diversa. Una storia fatta di numeri record, cambiamenti strutturali e soprattutto di un'Europa che impone riforme concrete, destinate a trasformare i rapporti tra aziende e lavoratori in modo radicale. Altro che gettoni per le cabine telefoniche. Il futuro parla il linguaggio della trasparenza salariale, della parità retributiva e della valorizzazione oggettiva del lavoro attraverso il recepimento di una Direttiva Ue del 2023.

I numeri sono lì, difficili da ignorare. «Abbiamo al lavoro un numero di persone che non avevamo mai avuto, siamo a oltre 24 milioni. Il trend di crescita è costante», ha sottolineato la ministra del Lavoro Marina Calderone, smontando con pochi dati le sortite ideologiche di Maurizio Landini. Il leader della Cgil, infatti, invita a votare cinque sì come se il Paese si trovasse in condizioni pessime. Ma la realtà è molto diversa. «In questo momento abbiamo una forte propensione all'assunzione con contratti stabili» ha aggiunto Calderone, ricordando che «le aziende investono sul lavoro a tempo indeterminato». I dati lo confermano: nel 2023 i licenziamenti da rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono diminuiti del 40% rispetto al 2014. Altro che bisogno urgente di restaurare l'articolo 18: quella stagione si è chiusai.

Nel frattempo, l'Unione europea impone un cambiamento epocale con la Direttiva sulla Trasparenza retributiva. L'Italia ha tempo fino al 7 giugno 2026 per recepirla e adottare una normativa che cambierà il cuore stesso delle relazioni industriali. Non si tratta solo di misure simboliche: le aziende saranno obbligate a stabilire criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere per determinare salari, aumenti e promozioni. Un salto culturale e organizzativo imponente, che richiederà non solo nuove regole, ma anche una rivoluzione nella mentalità aziendale.

La Direttiva non si limita alla fase di assunzione: i lavoratori avranno diritto a conoscere i criteri di remunerazione lungo tutto il rapporto di lavoro. Le aziende con più di 250 dipendenti dovranno pubblicare report periodici sul divario retributivo di genere. E se emergeranno differenze superiori al 5% non giustificate da criteri oggettivi, scatterà l'obbligo di una valutazione congiunta con i rappresentanti dei lavoratori per individuare e correggere le discriminazioni.

Le imprese saranno chiamate ad adottare nuovi modelli di classificazione professionale, capaci di misurare in modo trasparente e non discriminatorio il valore di ruoli diversi ma comparabili per competenze, responsabilità e condizioni. Un principio chiave sarà quello della retribuzione equa per lavori di pari valore: non solo stesso lavoro, stesso stipendio, ma stesso valore, stesso riconoscimento economico. Paradossalmente queste prescrizioni rafforzano il lavoratore non solo a livello individuale, ma anche in quello collettivo essendo il sindacato titolato a verificare il rispetto delle regole.

In questo scenario, parlare ancora di Jobs Act appare quasi surreale. Mentre l'Europa guarda avanti e impone alle aziende di cambiare radicalmente approccio con sanzioni pesanti per chi non si adegua il sindacato guidato da Landini continua a proporre una visione nostalgica, centrata su strumenti superati.

La delega legislativa italiana è già stata approvata con la legge di delegazione europea 2024. Ora tocca al governo definire le norme attuative e alle aziende prepararsi.

Non è una sfida a costo zero perché la definizione di sistemi retributivi codificati, la formazione degli addetti alle risorse umane e il purtroppo inevitabile aumento del contenzioso impatteranno sui bilanci. È comunque una sfida culturale che porta l'Europa verso i modelli Usa. È la stessa differenza che passa tra chi sogna il ritorno al telefono fisso e chi investe nel 5G.

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