Lo davano per congedato, accantonato o addirittura licenziato. Invece Sergei Lavrov è sempre lì, ben saldo al posto di capo della diplomazia russa coperto da quasi un ventennio. Per capirlo bastano le dichiarazioni inanellate dal ministro nelle ultime 24 ore. Dichiarazioni che comprendono tutti i temi cruciali della politica estera russa dalla "querelle" con l'amministrazione Usa sul rinnovo dei trattati Start sugli arsenali nucleari, allo scontro con Bruxelles sull'utilizzo dei beni russi congelati dal'Unione Europea fino alla ripresa dei colloqui per un "cessate il fuoco" in Ucraina con l'omologo statunitense Marco Rubio. Un tema, quest'ultimo, quasi obbligato per spazzare via le indiscrezioni diffusesi dopo la mancata partecipazione di Lavrov al Consiglio di Sicurezza di mercoledì scorso.
Molti osservatori avevano ipotizzato che l'eclissi del ministro rappresentasse una "punizione" per l'eccessiva intransigenza esibita nell'ultima telefonata con il Segretario di Stato americano. Un'intransigenza che aveva spinto l'amministrazione statunitense ad accantonare l'ipotesi di un secondo summit Trump-Putin. Il presunto errore negoziale avrebbe irritato Vladimir Putin deciso, invece, a riprendere la trattativa con la Casa Bianca per sfruttare al meglio l'imminente vittoria militare sul fronte di Pokrovsk. Se qualcosa è mai successa è anche già rientrata.
Ieri Lavrov ha sottolineato "l'importanza di comunicazioni regolari" con Rubio "essenziali per discutere la questione dell'Ucraina e far avanzare l'agenda bilaterale. Proprio per questo - ha aggiunto Lavrov - parliamo al telefono e siamo pronti a organizzare incontri a quattr'occhi quando necessario". Lavrov ha anche attribuito a Trump la piena disponibilità ad accettare l'annessione delle regioni ucraine rivendicate da Mosca. La disponibilità sarebbe parte di quelli che Lavrov definisce "accordi di Anchorage". Nell'interpretazione del ministro degli Esteri russo Washington sarebbe pronta ad accettare l'annessione di "Crimea, Donbass e Novorossiya" e ad "affrontare le cause profonde del conflitto". Tutti temi su cui l'amministrazione Usa mantiene ufficialmente una sostanziale ambiguità. Nell'interpretazione di Lavrov gli Stati Uniti si appresterebbero ad accettare anche la proposta del Cremlino di prorogare di un anno il trattato Start in scadenza il 5 febbraio 2026 e mantenere così le restrizioni sugli arsenali nucleari.
"Riteniamo che la nostra proposta risponda agli interessi di entrambe le parti e dell'intera comunità internazionale. Siamo pronti a ogni sviluppo, ma speriamo in un esito positivo", ha detto Lavrov. Il New Start stabilisce un massimo di 1.550 testate nucleari dispiegate per ciascun Paese e limiti sul numero di missili e bombardieri pesanti. Alle posizioni accomodanti nei confronti dell'amministrazione Trump fanno da contraltare quelle, assai più dure, nei confronti di Bruxelles accusata di voler metter le mani sugli assetti russi congelati in Europa e usarli per appoggiare l'Ucraina.
"Il cinismo con cui la Commissione europea interpreta la Carta dell'Onu e altre norme giuridiche internazionali, comprese le disposizioni sull'immunità sovrana e l'inviolabilità degli asset delle banche centrali, ha smesso di tempo di sorprendere. Tali azioni - sostiene Lavrov - costituiscono un vero e proprio inganno e una rapina".