L'Europa e il muro di droni per difendere il confine Est

Allo studio un sistema di dissuasione dalla Norvegia alla Polonia. La sorveglianza permanente è un'iniziativa autonoma rispetto ai 27

L'Europa e il muro di droni per difendere il confine Est
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Dal nord della Norvegia, passando per la Finlandia e fino al sud della Polonia, c'è un pezzo di Europa che vuole opporsi alle minacce dalla Federazione russa con un «muro di droni». Nome a effetto, progetto fumoso e per ora senza forme di finanziamento comune dell'Ue. Si tratterebbe di una muraglia difensiva senza pilota, neppure armata. Che permetterebbe però di accrescere, stando ai 5 Stati che ci lavorano, quella capacità di dissuasione nei confronti degli appetiti di Mosca già data dalla presenza Nato sul confine est.

I droni sarebbero in grado di restare in volo h24. «L'obiettivo prevede il ricorso anche ad altre tecnologie per proteggere i nostri confini», algoritmi inclusi, spiega la ministra dell'Interno lituana, Bilotait. Ma in sostanza si vuol piazzare in cielo una sorveglianza permanente, in un contesto in cui la Russia opera pure forme di guerra ibrida ed elettronica. Rispetto alle provocazioni finora registrate - l'ultima sul fiume estone Narva - in caso di pericoli più concreti i mezzi senza pilota potranno vedere arrivare la minaccia tempestivamente e far partire un segnale verso gli aerei da caccia a terra, pronti a decollare armati e intervenire.

L'idea «copia» le difese che certi Paesi hanno azionato per esempio in aree desertiche, su cui la Francia vanta una delle più rodate esperienze. I «droni» di Parigi vengono infatti già usati da Emirati arabi e Arabia saudita. Ma ci sono pure alcuni Stati africani che ne fanno efficace ricorso in aree estese. I ministri del gruppo del «muro» Ue hanno anche concordato esercitazioni congiunte di evacuazione. «Una cosa completamente nuova», ammette la titolare lituana dell'Interno, che ha annunciato il piano dopo i colloqui con i 4 omologhi.

Un «muro» aereo così diffuso sarebbe una misura di protezione supplementare alla Nato, completamente Made in Europe. L'idea c'è, i fondi Ue non ancora. Sul versante est sono infatti già attive le basi dell'Alleanza atlantica, pronte ad attivarsi in caso di attacchi. Ma evidentemente i Baltici non si fidano più del solo Articolo 5 della Nato che prevede risposte collettive (anche militari). È già accaduto che una minaccia sia stata considerata un mero incidente. E ci si è attivati soprattutto per via diplomatica. Tutto ciò ha dato a Putin ulteriore spregiudicatezza. Perché ci sono almeno tre «Europa». Tre posizioni. C'è la linea francese, quella tedesca e ora quella dei Baltici comprensibilmente allarmati. Lo scudo di droni è infatti un'iniziativa autonoma rispetto ai 27, che operano in ordine sparso pure nel supporto militare a Kiev, a cui la Germania ha consegnato un altro sistema di difesa aerea (l'Iris-T a medio e corto raggio). Poi tank, artiglieria e droni, ma «il limite di ciò che è possibile fornire è raggiunto», ha concluso ieri Scholz. Macron proverà da stasera (in tre giorni) un ultimo tango a Berlino prima del Consiglio europeo di giugno per capire se il cancelliere sia pronto ad appoggiare l'idea di un fondo Ue da 100 miliardi per riarmare Kiev e l'Europa. Produrre in casa mezzi e munizioni (linea Parigi) o continuare a comprare extra-Ue? Tra crisi di nervi e prove di forza, terranno un Consiglio di difesa comune.

Mentre a Stresa, anche ieri, al G7 economico è emersa la difficoltà nell'avanzare compatti e in punta di diritto nel ricorso agli

extra-profitti degli asset russi congelati. Progressi, ma poco di più. Il ministro Giorgetti vede ancora «difficoltà tecniche». Il Commissario Ue Gentiloni ipotizza annunci a metà giugno. E da Mosca si minacciano «ritorsioni».

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