Ve li ricordate il signor Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo e la Cancelliera Angela Merkel in viaggio in Turchia? Era il 26 aprile di quest'anno e i due andarono a braccetto a render onore al presidente Recep Tayyp Erdogan ansiosi di regalargli i sei miliardi di euro pretesi per bloccare l'ondata di profughi che sommergeva la Germania e l'Europa. Non paghi del ricatto gli emissari di quell'estorsione si profusero in imbarazzanti esternazioni. «La Turchia è il miglior esempio al mondo di come si dovrebbero trattare i rifugiati» disse il presidente europeo. E la Cancelliera non volle esser da meno. «La Turchia dichiarò - è il paese che accetta il più alto numero di profughi. L'Europa dovrebbe assumersi le stesse responsabilità». A due mesi di distanza quelle improvvide dichiarazioni fanno i conti con un presidente sopravvissuto ad un golpe, ma pronto a ripristinare la pena di morte pur di punire a dovere i propri nemici. E ad imbarazzare ancor di più i leader europei contribuisce il sospetto che i seimila arresti messi a segno da sabato ad oggi, tremila dei quali tra le fila della magistratura, non riguardino soltanto dei pretesi golpisti, ma chiunque non si sia allineato ai diktat nel Sultano. Non a caso la Merkel si affretta in queste ore a richiamare Erdogan al «rispetto dello stato di diritto».
Ma dietro quella preoccupazione, eticamente nobile, fa capolino un incubo assai peggiore. La Merkel e Tusk si chiedono cosa ne sarà dell'accordo sui profughi se il Sultano ripristinerà la pena capitale e i suoi tribunali incominceranno a distribuire sentenze sommarie improntate più al desiderio di vendetta che ai principi del diritto. A quel punto si potranno rispettare le scadenze concordate per il pagamento dei sei miliardi di euro? Si potrà continuare a onorare un accordo che prevede persino l'eliminazione dell'obbligo di visto per i cittadini turchi diretti in Europa? Insomma l'Europa così attenta ai diritti umani potrà continuare a rispettare i patti impostigli da un capo di governo politicamente indifendibile? La risposta in base ai sacri principi europei sarebbe ovviamente no, ma le conseguenze a quel punto sarebbero tutt'altro che piacevoli. Perché un Erdogan pronto a governare a colpi di tribunali speciali non avrebbe eccessive difficoltà a riaprire quel rubinetto dei profughi chiuso solo in virtù dei soldi e del ricatto. E allora i giorni bui di Tusk, della Merkel e di tutti noi europei sarebbero solo all'inizio. Perché a quel punto potremmo solo scegliere se d'ignorare i diritti umani e le vite calpestate dal presidente turco o misurarci con una nuova invasione di disperati pronti a invadere la Grecia e a risalire nel cuore dell'Europa.
Ma non solo. Perché la Turchia dove qualche soldato golpista è già stato decapitato per strada e dove la base Nato di Incirlik, avamposto della lotta al Califfato, viene chiusa e dichiarata inagibile agli aerei americani appare pronta a trasformarsi in un incubo ancora peggiore. Un incubo di cui avevamo intravisto le premesse quando i convogli di autocisterne, gonfie di petrolio attinto nei territori siriani controllati dell'Isis, vendevano greggio nei territori di Ankara. Quando la frontiera turca diventò un valico insuperabile per i combattenti curdi decisi a combatterli. Quando i convogli dei servizi segreti di Erdogan non esitarono a distribuire armi e munizioni ai combattenti dalle bandiere nere. Quando l'aeroporto di Istanbul si trasformò nella porta d'accesso ai territori del Califfato per cinquemila jihadisti arrivati dall'Europa.
Ora però rischia di essere molto peggio. La Turchia del dopo golpe minaccia di non essere più un semplice cuscinetto tra noi e il Califfato, ma bensì il nuovo confine. Quello dove termina l'Europa e iniziano i territori degli orrori islamisti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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