C'è tanta ideologia e nemmeno un briciolo di realpolitik nell'innamoramento filo russo di certi politici nostrani. Tra i Cinque Stelle e pure in ambienti sovranisti l'infatuazione per Vladimir Putin non sembra intaccarsi nemmeno dinnanzi le ultime mosse del Cremlino. Mosse che non solo rischiano di destabilizzare lo scacchiere europeo, andando a scatenare un conflitto militare alle sue porte, ma che mettono in pericolo la ripresa post Covid, intaccando pericolosamente le risorse messe sul tavolo con il Pnrr e soprattutto la fragile economia del Vecchio Continente.
Leggere su Facebook Alessandro Di Battista che, il giorno successivo all'annessione de facto del Donbass, nega l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia aiuta a capire molto bene l'ideologia che muove i Cinque Stelle. A detta del Che Guevara di Roma Nord, che in passato già si è distinto per il suo amore per il caudillo venezuelano Hugo Chavez e il suo erede Nicolas Maduro, Putin si sarebbe limitato a "formalizzare l'esistenza (dunque riconoscere) di due repubbliche separatiste e russofone", quella di Donetsk e quella di Luganks. "Si tratta di territori che la Russia controlla politicamente e militarmente da otto anni - ha scritto - nulla di nuovo dunque e, per adesso, nulla di particolarmente preoccupante". Se i vertici del movimento non esternano più, almeno pubblicamente, la propria passione per Mosca, in passato non hanno certo lesinato a fare da megafono alla propaganda del Cremlino. È il caso, per esempio, di Manlio Di Stefano, oggi sottosegretario agli Esteri al fianco del ministro Luigi Di Maio. Basta andare a vedere cosa andava in giro a dire sulla Russia non più tardi di cinque anni fa per capire di cosa stiamo parlando. Le sue dichiarazioni sono ancora tutte online.
L'elenco dei putiniani in Italia è piuttosto nutrito e attraversa l'arco parlamentare in maniera trasversale. Dal Movimento 5 Stelle si arriva con un balzo agli scranni della Lega, passando pure per quelli di Fratelli d'Italia. Il primo a battersi per avere lo Zar al tavolo, anziché in giardino con i carri armati alle spalle, è stato Silvio Berlusconi. Quella del Cavaliere, però, non è mai stata ideologia ma pura e semplice realpolitik che lo ha portato nel 2002 allo storico incontro a Pratica di Mare. Vent'anni fa l'allora presidente del Consiglio aveva capito con lungimiranza l'importanza di un accordo tra George W. Bush e Vladimir Putin. Avvicinare la Casa Bianca al Cremlino, dopo decenni di Guerra Fredda, poneva le basi per una pacificazione che avrebbe portato benessere a tutto l'Occidente. Da qui l'impegno del Cavaliere a far mettere alla Russia un piede in Europa. Allontanarla avrebbe inevitabilmente significato un riallineamento con la Cina. Alleanza pericolosa che si sta definendo proprio adesso.
A Pratica di Mare Berlusconi è riuscito ad avvicinare due mondi distanti grazie anche ai rapporti diplomatici e personali che negli anni aveva saputo coltivare con i due capi di Stato. Mai megafono del Cremlino, ha sempre pensato al futuro (e quindi al bene) dell'Italia e dell'Occidente: al netto dell'amicizia personale, non ha mai visto Putin, e quindi la Russia, come il grande Satana, ma come un possibile partner con cui allearsi.
Oggi sullo scacchiere internazionale la Nato, e con essa l'Europa, si è ritrovata a misurarsi con Putin. Spingerlo verso Pechino è la scelta peggiore che si possa fare in questo momento. Tuttavia far da megafono alla propaganda russa o essere tiepidi nella difesa dei confini del Vecchio Continente, non sono certo le mosse migliori.
Messo da parte un certo populismo ideologico, che santifica Putin e demonizza gli Stati Uniti, bisogna riportarsi sulla via diplomatica. La stessa che aveva percorso Berlusconi. Purtroppo oggi, a livello europeo, manca una leadership politica forte e anche carismatica che possa condurre le danze.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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