In Libano ancora morte e distruzione. Bombe sul cimitero. L'ira dei cristiani

Nei villaggi della Bekaa al confine attaccati dall'esercito israeliano

In Libano ancora morte e distruzione. Bombe sul cimitero. L'ira dei cristiani
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Hassan Nasrallah ti guarda da lassù. Un po' dai pali della luce, un po' dai gazebo agli incroci, un po' dai palazzi lungo la strada. Anche da morto la valle della Bekaa resta roba sua. Le sue foto e quelle dei comandanti che ne hanno condiviso la sorte contrassegnano ogni chilometro dello stradone che da Chtoura porta al confine siriano. Ma alle foto degli shahid i «martiri» - così li chiama l'autista - s'aggiungono ben presto le voragini scavate dalle bombe israeliane. Voragini profonde che in ogni villaggio hanno divorato interi palazzi. Ma allo stesso tempo assai discrete. Per uno strano miracolo della tecnologia balistica, missili e bombe israeliane riescono a far implodere i loro obbiettivi imprigionando ruderi e macerie nei crateri scavati dall'esplosione. Un po' come se l'edificio fosse stato trascinato all'inferno da una forza sovrannaturale. L'effetto rende difficile capire cosa si nascondesse tra quelle rovine. E perché siano state colpite con tanta precisione.

Il mistero si ripete a ogni villaggio. Anche perché i pochi abitanti rimasti fanno a gara nel raccontarti di affollate pizzerie, gustose pasticcerie e affermati saloni di bellezza trasformati in obbiettivi. La verità - è evidente - sta nel mezzo. Dietro pizzerie, pasticcerie e parrucchieri si celavano prestanomi legati ad Hezbollah o possibili infrastrutture usate dai miliziani sciiti. A Riyaq, un villaggio di 16mila anime cristiane e sciite, la consueta voragine non ha inghiottito soltanto un centro commerciale di due piani. Qui le bombe hanno devastato il vicino cimitero cristiano dove due enormi croci disegnate sul cancello d'ingresso segnano il confine tra la parte sciita del villaggio e quella melchita. Appena oltre quelle croci una cinquantina di cristiani annaspano nel lezzo di morte e decomposizione che avvolge bare squarciate, marmi divelti e tombe dilaniate. Piegati nella polvere lavorano per ricomporre quel piccolo camposanto simbolo della loro storia.

«Non so perché gli israeliani abbiano raso al suolo quel palazzo l'altra notte. Non so cosa ci fosse sotto. Di certo le loro bombe hanno profanato le tombe dei nostri cari - si lamenta George, un omone 54enne che incurante del fetore ravana tra i resti della sua tomba di famiglia. «Tante bare sono andate distrutte, siamo al lavoro da ieri per ricomporre i resti dei nostri cari. Le loro croci, i loro corpi sono i segni della nostra presenza secolare in questa terra. Gli israeliani dicono di bombardare Hezbollah, ma mettono in pericolo anche noi. Se qualcuno pensa di cacciarci si sbaglia di grosso. Questo cimitero è il simbolo della nostra storia. I nostri padri e i nostri nonni sono sepolti qui e noi non pensiamo neanche lontanamente di fuggire. Nonostante le bombe resteremo qui con le nostre famiglie e i nostri figli».

Joseph, un cristiano con un enorme croce tatuata sulle spalle, ci fa segno di seguirlo. Davanti alla chiesetta sul retro del cimitero cinque nuove bare appena benedette contengono i resti recuperati dai volontari. In un attimo i feretri sono sulle spalle dei volontari e un canto riempie l'aria.

«Ehbina lezi fih il-semawet...». Al suono del Padre nostro in arabo la processione si avvia verso le tombe restaurate, infila le bare nei loculi, posa su ognuna una croce dorata. E un solo coro chiude la preghiera. «A Riyaq cristiani per sempre».

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