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L'imbarazzo della sinistra tra pacifisti e anti-Usa

Opposizione divisa sul sostegno all'Ucraina. Tra i dem cresce la fronda e avanzano i "no guerra"

L'imbarazzo della sinistra tra pacifisti e anti-Usa

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L' ultima acrobazia del «pacifismo» di sinistra - non potendo attaccare direttamente Zelensky nel giorno della sua visita ufficiale in Italia - è quella di gridare alla «censura» contro il fisico Carlo Rovelli, che avrebbe dovuto rappresentare l'Italia alla Fiera del Libro di Francoforte. Dopo i suoi exploit anti-occidente e anti-Kyev, gli organizzatori hanno ritirato l'invito (ieri sera già reiterato) per evitare «nuove polemiche».

E allora eccoli lì, a denunciare con torni tonitruanti il crimine contro «la libertà di pensiero», come fa Giuseppe Conte mettendosi subito in prima linea: «Ma neppure in una fiera del libro si dà spazio al libero pensiero? - si chiede il capo 5S - Neppure nel santuario del libero confronto di idee è concesso mettere in discussione il pensiero unico dominante? Vergogna!».

Il «pensiero unico dominante» sarebbe ovviamente quello che dice che in Ucraina c'è un aggressore e un aggredito, c'è un regime totalitario che cerca di invadere e distruggere un paese democratico e filo-europeo, e che dunque è doveroso aiutare chi resiste per difendere la libertà.

A Conte si accoda subito la sinistra del Pd, a cominciare dal personaggio che Elly Schlein ha scelto come responsabile Cultura, ossia l'ex santorino Guido Ruotolo: «Siamo preoccupati per il clima di censura che si respira in Italia (anche se la Buchmesse è in verità a Francoforte, ndr), a Rovelli fanno pagar care le critiche al governo». Anche la responsabile Donne dem D'Elia insorge: «É molto grave per la democrazia in questo paese che Rovelli sia censurato e non possa rappresentare l'Italia».

Dietro la polemica sull'episodio (peraltro già rientrato) si cela il forte disagio di una larga parte della sinistra sulla questione della guerra in Ucraina e dello schieramento dell'Italia con Ue e Nato a sostegno di Kyev. Se M5s cavalca apertamente il «pacifismo» filo-russo, il Pd di Elly Schlein ha confermato l'appoggio all'Ucraina e votato a favore degli aiuti anche militari. Ieri la segretaria ha salutato l'incontro tra Zelensky e Mattarella come «occasione per rimarcare ulteriormente il nostro supporto al popolo ucraino che ha subito una invasione criminale da parte di Putin e della Russia». Ma l'insofferenza profonda dei post-comunisti verso l'atlantismo e l'antica fascinazione per Mosca si riaffacciano sempre più spesso, in casa dem quanto nella Cgil di Landini o nell'Anpi di Pagliarulo, ormai apertamente schierato contro la Resistenza se a farla sono gli ucraini. E una spinta analoga viene dai cattopacifisti: settimane fa l'ex capogruppo Pd ha tenuto una conferenza stampa con il leghista Romeo e il grillino Patuanelli per annunciare una mozione «trasversale e unitaria per la pace» e il «cessate il fuoco», che non cela la volontà di mettere sullo stesso piano aggressore e aggredito.

Senza contare che, se era inevitabile sostenere la linea filo-ucraina di Mario Draghi, diventa politicamente più faticoso perorare la stessa causa quando a incarnarla è una nemica politica come la premier Giorgia Meloni.

Non è un caso, ad esempio, che quando si è trattato di sostenere nelle aule parlamentari gli aiuti militari all'Ucraina, Schlein abbia preferito tacere, lasciando l'incombenza di parlare a nome del Pd ad altri. Un colpo al cerchio pro-Ucraina e uno alla botte filo-russa, per cercare di non scontentare nessuno: del resto la nuova Direzione Pd è imbottita di «pacifisti» anti-Kyev, da Camusso a Boldrini, da Scotto alle Sardine.

E il braccio destro della segretaria, Francesco Boccia (che ai tempi di Letta era atlantista), oggi scopre e lamenta la «sudditanza verso gli Usa» della Ue.

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